Senza di lei non esisterebbe l’alveare. Non ci sarebbero il miele, il polline e la pappa reale. In definitiva, non ci sarebbero le api, non nella forma in cui le conosciamo.
Lei è l’ape regina, fondamento di ogni famiglia, unica ape feconda, capace di deporre quantità impressionanti di uova per garantire la sopravvivenza della sua stirpe e, all’occorrenza, spostare le colonie verso una nuova casa.
Seguiteci e scoprite tutti i segreti della regina, l’ape più importante dell’alveare.
Come nasce una Regina?
La regina è l’ape più grande, la più longeva è l’unica feconda, capace cioè di generare una nuova colonia, o «famiglia». Queste differenze sono il frutto di un’alimentazione speciale. Dopo la deposizione dell’uovo, le operarie svezzano le larve reali per circa 15 giorni con la pappa reale, che sarà l’unico alimento della regina per tutta la vita. Dopo questo periodo la regina può uscire dalla sua cella, anch’essa speciale: non è infatti posta in orizzontale, ma in verticale e ha le fattezze di un’arachide.
La lotta per il trono
Una colonia può allevare fino a 30 «principesse», dette «regine vergini». Quando le api percepiscono che la reggente non è più in grado di svolgere il suo ruolo, devono assicurare la la sopravvivenza della colonia. Costruiscono allora le celle reali per far nascere una nuove regine. Quando le «regine vergini» si schiudono, ciascuna compete per il proprio regno fino a che ne rimane in vita una sola. A volte accade che una vergine, nata prima delle altre, uccida le “sorelle” mentre sono ancora nella loro cella. Se più vergini vengono alla luce contemporaneamente, tutte meno una abbandonano l’alveare seguite da un gruppo di “fedelissime” (sciamatura). Accade questo perché nell’alveare può rimanere una sola regina.
Il canto della regina
Nel momento in cui vengono alla luce (o addirittura mentre sono ancora nella loro cella reale), le «regine vergini» cominciano a emettere un particolare stridìo, simile al suono di una trombetta. È il «canto della regina» e si pensa abbia diversi scopi.
È un «peana di guerra» per mettere sull’attenti tutte le pretendenti al trono e cominciare la lotta per il sopravvento.
È un «orazione politica» per procacciarsi i consensi delle api della colonia, al fine di farsi eleggere nuova regina.
È una «serenata» per i fuchi – ovvero i maschi delle api – per farsi seguire, fecondare e dare origine ad una nuova famiglia.
È un segnaledipartenza, che la regina vergine in procinto di sciamare emette per ritardare la nascita di altre vergini (in questo caso le operaie inibiscono le altre vergini nelle loro celle, aggiungendo strati di cera per impedirne la fuoriuscita)
Potere al popolo
Per quanto l’ape regina sia in grado di influenzare il comportamento delle sue operaie grazie alla produzione di feromoni, l’alveare è un super-organismo, ovvero una forma di collettività in cui le decisioni sono prese attraverso una specie di maggioranza “senziente”. Quando questa maggioranza percepisce la fine di una regina, fa di tutto per agevolare un cambio al vertice deponendo uova nelle celle reali. Caso limite è la sciamatura in cui le operaie agiscono “democraticamente”: si crede infatti che singolarmente o a piccoli gruppi possano decidere di seguire la vecchia regina pronta al distacco, o restare con la nuova che garantirà la sopravvivenza della famiglia.
Nutrice e assassina
Al contrario di quello delle operaie, dentellato e irregolare, il pungiglione della regina è liscio. Il suo scopo è duplice: quando è gravida, la regina lo utilizza per deporre le uova, come fosse una pipetta; in caso di combattimento, invece, il pungiglione diventa un affilato stiletto, pronto a trafiggere le rivali.
Il volo nuziale
Una regina può deporre fino a 2 mila uova al giorno, 250 mila l’anno per un massimo di 5 anni di vita. Per poterle fecondare accumula il seme dei fuchi all’interno del suo addome, rilasciandolo gradualmente. L’accoppiamento non può certo essere quotidiano, ma avviene una sola volta, nel periodo del volo nuziale. La regina vergine si solleva in aria seguita dalla «cometa di fuchi», un nugolo composto da un centinaio di maschi. L’accoppiamento multiplo fornirà alla regina il materiale genetico per gli anni a venire fino a che, esauritosi, darà vita a uova non fecondate, che produrranno solo api maschio. È la cosiddetta «regina fucaiola» che, se individuata dalle operaie, verrà prontamente sostituita.
Nutrita e riverita
L’unico scopo della regina è continuare la specie. Non deve preoccuparsi di nulla: viene seguita da uno sciame di ancelle che la puliscono, la nutrono e la difendono, assistendola in ogni esigenza. Ma la regina è gelosissima del suo ruolo: mentre le api operaie la riveriscono, lei rilascia il feromone reale, un potente inibitore degli organi sessuali che ha la funzione di renderle sterili.
[:en]
Without the Queen Bee, a hive would not exist. There would be no honey, pollen or royal jelly. There wouldn’t even be bees, at least not as we know them.
She reigns supreme, the foundation of the hive and the head of the family, the true queen bee. She lays large quantities of eggs to ensure the hive’s continued survival and will force the colony to migrate if necessary. The hive revolves around her.
We have seven secrets of the queen bee, the most important bee in any hive.
How is the Queen born?
The queen is the largest bee in the hive, the one who lives the longest and is the sole reproducer in a hive, all thanks to a special diet. After the queen lays her eggs, of which some will be unfertilized and become male drones and others will be fertilized and either become workers or virgin queens dependent on diet, the worker bees feed all the royal larvae a diet of only royal jelly for 15 days. Royal jelly is the only thing a Queen Bee eats throughout her life. After this period, the queen emerges from her cell, which is itself unique to the regular hexagonal shape. It lays horizontally in the shape of a peanut.
The struggle for the throne
A hive can breed up to 30 ‘princess’ bees, which are truly called virgin queens in order to ensure their survival. In fact, when worker bees sense that their current queen can no longer lay eggs, they will begin building up royal cells and feeding more fertilized larvae to ensure the birth of a new queen. When more than one virgin queen is hatched, they will fight to the death. The winning virgin queen will ensure her dominance by destroying any other royal cells that may still be unhatched. If a hive becomes too large, the old queen will leave with a ‘swarm’ of faithful workers and half the hives reserves to create a new colony.
The queen’s song
When the virgin queens emerge from their cells (and even sometimes when they are near emerging), they begin emitting a high-pitched buzzing called piping that sounds similar to a trumpet. It is the “queen’s song” and is thought to have a few different purposes:
A “warcall” that signals their location so that all ‘pretenders to the throne’ may come and fight the queen,
A “politicalcampaign” to obtain the consensus of the worker bees to be regarded as their new queen,
A “serenade” to the drone male bees so that they will find the queen for her nuptial flight,
A “warning” that the virgin queen will leave on her nuptial flight and that the workers must prevent the emergence of other virgin queens by adding more layers of wax on top of their cells.
Power to the people
Although the queen is able to influence the behaviour of all the bees in the hive thanks through her pheromones, the hive functions as a type of ‘super-organism’ that thinks collectively. It is called eusocial and means that the bees make decisions for the collective of the hive through a kind of ‘sentient’ majority. When this majority senses the near-end of an old queen, they will do everything in their power to ensure their survival by feeding more larvae with royal jelly to create virgin queens. The only limitation on this group think is in the case of swarming. Worker bees will act ‘democratically’ and choose either individually or in small groups to leave with the old queen or remain with the new one to ensure the continued survival of the hive.
Nurse and assassin
Contrary to the workers, which have notched and irregular stings, the queen’s is smooth. This is for two reasons: when she is pregnant it functions as a pipette to lay eggs and when she is in combat, the sting is like a sharp knife, ready to pierce rivals.
The nuptial flight
A queen bee is capable of laying up to 2000 eggs a day, 250 000 per year, for a maximum of 5 years. To do this, she accumulates the semen from mating drones in her belly, only releasing it by choice when laying eggs. Mating does not occur daily. In fact, it only happens once in what is called the nuptial flight. When a virgin queen emerges, she will leave the hive followed by a swarm of drones (male bees) who will compete to mate with her in flight. She will mate with multiple drones, collecting enough genetic diversity from their semen to lay eggs throughout her lifetime. The queen can sense when worker or drone bees need to be laid and selectively chooses to fertilize (worker larvae) eggs or leave them unfertilized (drone larvae) when laying. The queen is the only bee that can truly reproduce in a hive. Rarely there are laying worker bees, that only produce drones, and if detected are promptly replaced in the hive.
Nourished and revered
The queen has a singlepurpose: to reproduce. She doesn’t even need to think about the basic necessities of survival. A small swarm of maiden bees follows her constantly, cleaning her and feeding her, nurturing her and defending her to the death. However, the queen is a jealous queen. She releases a royal pheromone that is a powerful inhibitor of the sexual organs in the worker bees in order to ensure their sterility.
Le vacanze sono alle porte e con esse la possibilità di dedicarsi alle proprie passioni. Da amanti del miele quali siamo, abbiamo raccolto in questo post qualche consiglio per approfondire la propria conoscenza delle api, una passione che che la famiglia Brezzo si tramanda da tre generazioni.
Potevamo consigliarvi manuali e saggi, libri tecnici o articoli di settore. Abbiamo optato invece per alcuni suggerimenti di visione e di lettura molto godibili e “leggeri”. Si tratta di un documentario, di un film e di un libro che ci hanno davvero colpiti perché, raccontando di api e di apicoltori, in realtà narrano una parte importante della nostra vita: il rapporto che abbiamo con l’ambiente e il suo fragile equilibrio, all’interno del quale le api giocano un ruolo tutt’altro che secondario.
1. UN DOCUMENTARIO
MORE THAN HONEY
Il più straordinario documentario sulle api mai prodotto (almeno finora) è il capolavoro di Markus Imhoof, More Than Honey. Il film, uscito nel 2013, ha richiesto 5 anni di riprese e migliaia di km percorsi dal regista, che ha condotto la sua ricerca sui 4 continenti.
Il risultato è spettacolare: per immagini, intensità del racconto, incredibili macro sul mondo segreto delle api, storie, personaggi. More then Honey racconta il rapporto secolare tra l’uomo e le api, la loro funzione cruciale per la natura e la più che mai attuale sindrome da spopolamento (un fenomeno ancora poco conosciuto per il quale le colonie di api periscono bruscamente) che si è diffusa in modo preoccupante negli ultimi anni. Il documentario di Imhoof, attraverso testimonianze dirette e specializzate, richiama la nostra attenzione sull’importanza delle api, dimostrando che Einstein aveva forse esagerato con la sua celebre sentenza sulle api («quando le api scompariranno dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita»), eppure non era andato così lontano visto che: «senza api, un terzo di tutto ciò che mangiamo probabilmente non ci sarebbe».
L’opera di Imhoof merita una visione anche solo per la tecnica di ripresa: micro-videocamere piazzate sulla schiena degli insetti ci svelano l’interno degli alveari, si addentrano tra stigmi e ovuli dei fiori, seguendo gli sciami in volo. Ape regina, api operaie e fuchi sembrano formare un unico organismo prodigioso, quello che permette ai fiori e alle piante di generare la vita vegetale sul pianeta.
2. UN FILM
LE MERAVIGLIE
Sotto la sapiente regia di Alice Rohrwacher, questa favola contemporanea è un film che tutti gli amanti delle api dovrebbero guardare con attenzione. La regista di Corpo celeste e del recente Lazzaro Felice racconta la delicata e semplice vicenda di una famiglia di apicoltori che hanno scelto produrre miele tra difficoltà economiche e famigliari, guidati da una sincera dedizione alla natura e al paesaggio rurale.
L’arrivo della televisione e della retorica del «tipico» e dell’«autentico» metterà in crisi i protagonisti e farà esplodere non solo le tensioni già presenti all’interno del nucleo familiare, ma le stesse che intercorrono tra i concetti di campagna e città, di rurale e urbano, di innovazione e tradizione.
«L’apicoltura è un’attività che è tutt’uno con il vivere», ha detto la regista del suo film. «Mi interessava mostrare come la vita e il lavoro in campagna siano profondamente collegati. L’ho voluto raccontare perché lo spettatore si ponga delle domande sul come si vive in altre parti della società, separando questi due aspetti: il mestiere e il tempo libero».
Un film toccante, in cui le api e il loro rapporto con i protagonisti diventano il simbolo di un legame, quello con la natura, che troppo spesso banalizziamo o diamo per scontato.
3. UN LIBRO
STORIA DELLE API (edizioni Marsilio)
«L’umanità può imparare dalle api», ha detto Maja Lunde, autrice di Storia delle api, testo definito come il più completo – e interessante – libro mai scritto sui più laboriosi insetti del mondo. «Mentre lavoriamo per una vita migliore per noi stessi e per i nostri figli, le api lavorano per l’alveare, cioè per tutti», continua l’autrice, «il pianeta è il nostro alveare, ogni cosa è collegata all’altra».
Conosciuta per i suoi libri rivolti ai ragazzi, La storia delle api è il suo primo libro per adulti della Lunde. E che libro! Un esordio poderoso, epico, che ha suscitato un vero e proprio “vespaio” alla sua uscita, nel 2015. Non si tratta infatti di una narrazione di armonie bucoliche, piuttosto la visione ispirata e dolente di un mondo attraversato da forme di vita che si intrecciano le une alle altre. E che, attraverso le api, interpellano la natura umana e il suo rapporto con il creato.
Il libro non è un trattato, ma un vero e proprio romanzo, dalla trama accattivante, capace di mescolare le storie di tre protagonisti su di un arco temporale di 300 anni, tutti connessi attraverso il mondo delle api e della loro – possibile – scomparsa. La lettura procede spedita tra le vite di William, biologo inglese di metà Ottocento; George, apicoltore contemporaneo che lotta contro la moria delle api; e Tao, ragazzo cinese del 2098, la cui attività principale è l’impollinazione manuale, dal momento che le api hanno cessato di esistere.
Leggere La storia delle api è un po’ come leggere la nostra storia, mettendo in discussione le scelte che stiamo intraprendendo, interrogandoci sulle cose che davvero vogliamo salvare per il futuro di chi verrà.
A fine maggio termina la raccolta del miele d’acacia, una delle qualità più conosciute, utilizzate e apprezzate, nonché una delle prime ad essere raccolte. In tutta Italia, delicatamente, gli apicoltori cominciano a estrarre il prezioso “nettare” dalle arnie.
Vi siete mai chiesti come è fatta un’arnia e come funziona questo strumento di lavoro? Ve lo spieghiamo in questo post.
UNA DEFINIZIONE DI ARNIA
L’arnia è una struttura artificiale creata dall’uomo per facilitare la crescita di una colonia di api e la successiva raccolta del miele. Un’arnia accoglie fino a 90 mila individui ed è un microcosmo razionale e organizzato: il suo compito principale è quello di dividere la zona della covata (nido) da quella della produzione e stoccaggio del miele (melario), al fine di poter estrarre i favi che lo contengono senza danneggiare le api.
L’ITALICA-CARLINI
La storia del miele ci ha consegnato molti tipi di arnia: in paglia, terracotta, ricavata da tronchi cavi, disposta in modo orizzontale o verticale. Sommariamente, le arnie possono essere divise in due gruppi: a favo fisso, ovvero in unico contenitore, e a favi mobili, divise in più contenitori (nido-melario). Sono quest’ultime le arnie tutt’ora impiegate in apicoltura perché salvaguardano le colonie di api: le arnie fisse ad unico contenitore infatti, costringevano gli apicoltori ad estrarre il miele scacciando o uccidendo l’intera colonia. Il perfezionamento dell’arnia a favi mobili, o razionale, si deve a Lorenzo Lorraine Langstroth, pastore e inventore statunitense che, nel 1851, scoprì lo «spazio dell’ape» e riorganizzò la struttura delle arnie. Oggi, l’arnia più diffusa nel nostro paese è l’Italica-Carlini, basata sull’arnia di Langstroth, successivamente modificata da Johann Blatt e Charles Dadant e adottata, nel 1932, dal Congresso nazionale degli apicoltori come modello di riferimento per l’esercizio dell’apicoltura nel nostro Paese.
LA STRUTTURA
La struttura dell’arnia Italica-Carlini si può essenzialmente dividere in tre parti: il fondo, il nido e il melario. Vediamole nel dettaglio.
FONDO (A)
Il fondo (1) è la base di appoggio di tutta l’arnia. Le caratteristiche principali sono tre: un’apertura sulla base che consente l’utilizzo di un fondo mobile (3), per controllare indirettamente lo stato di salute delle api; una separatoreanti-varroa (2), che impedisce all’acaro parassita varroa destructor (molto diffuso tra le api) di risalire una volta caduto dal nido; una griglia metallica (4) posta all’ingresso del nido, che permette l’ingresso e l’uscita delle api bloccando l’accesso a insetti e animali di maggiori dimensioni.
NIDO (B)
Il nido è una scatola in legno al cui interno sono ospitati i telaini da nido (5), ovvero telaini mobili “armati” con fili di metallo su cui viene appoggiato il foglio cereo. Quest’ultimo è uno strato di cera in cui sono sovraimpresse cellette esagonali: serve per favorire la creazione del favo dove verranno allevate le api operaie. Il nido termina con la griglia escludi-regina (6) che impedisce alla regina, ma non alle operaie, di salire nel melario con la covata
MELARIO (C)
Il melario è un parallelepipedo di legno che viene posto sopra all’escludi regina. Come il nido, permettere l’appoggio dei telaini da melario (7). È qui che le api operarie, nei periodi di produzione, costruiscono i favi in cui depositare il miele che, lo ricordiamo, costituisce l’alimento della colonia durante la stagione invernale. Il melario è chiuso dal copri-favo (8), attraverso il quale l’apicoltore alimenta le api in caso di necessità, e il tetto (9), su cui viene fissata una lamiera metallica per garantire una maggiore protezione all’arnia contro gli agenti atmosferici.
The end of May means the end of acacia pollen collection and the beginning of acacia honey. Across Italy, beekeepers are starting the delicate work of extracting this precious ‘nectar’ from their hives. Honey from acacia is one of the first to be harvested each year and is widely appreciated for its gentle taste and golden colour.
Have you ever wondered how beekeeprs collect and harvest honey? Special hives that are grouped together in an apiary is central to the work and in this post, we are explaining how they function.
DEFINITION OF AN APIARY
An apiary is where manmade beehives are kept. Hives are enclosed structures that are designed with the purpose of raising a colony and then collecting the honey without harming the bees. An apiary is the place where either hobbyists or professional beekeepers house their hives for optimal performance. Natural hives are actually called nests and it is impossible to collect the honey without destroying it, whereas hives are structured with frames for the bees to build comb, just as they would in the nest and organize the colony into brooding cells and production cells.
ITALICA – CARLINI
The history of honey is full of various types of hives used by man: straw, terracotta, or even hollowed logs laid in strategic vertical/horizontal arrangements. Throughout most of this history it was nearly impossible to collect honey without destroying the hive and the colony. These traditional hives are called ‘fixed-frame’ since they were simply built to protect the colony while producing honey, but since there were no internal structures in the hive, the bees would build honeycomb in an uncontrolled way which led to its eventual destruction when it came time to collect. Overtime fixed-frame hives slowly developed into what today are called ‘mobile-frame’ hives, which meant beekeepers could both collect honey and ensure the continuation of their colony. A pioneer in this method of hive-building was Lorenzo Lorraine Langstroth, an American shepherd and inventor who built the first top-open box hive with moveable frames based on his study of ‘bee-space.’ Today, the most widely used hives in Italy are called Italica-Carlini and are based on the Langstroth hive with key modifications introduced by Johan Blatt and Charles Dadant. The immense success of these hives is clear. In 1932, the National Congress of Beekeepers chose the Italica-Carlini hive as the best in practice for Italian beekeepers and it hasn’t changed since!
THE STRUCTURE
The structure of Italica-Carlini hives can be divided into three basic parts: the lower section, the boxes and the upper section.
LOWER SECTION (A)
The lower section (fig.1) provides the foundation of the entire hive as well as the main entrance/exit for the bees. This section can also be broken down into the three main parts: the bottom board which provides the bottom closure of the hive and has an extended ‘landing board’ where the bees can enter or exit the hive (fig. 3), a verroa destructor which functions as a separator between the hive and harmful varroa mites (a common pest to bees) (fig.2) and lastly, a metal grid (fig.4) that is placed at the entrance of the boxes that stops bigger bugs and animals from entering the hive.
BOXES (B)
The box or boxes can be best described as the nest of the hive. Each box houses between 8-10 frames and foundations (fig.5). The frames are generally made of wood and the foundation is a waxed sheet of paper with an etched comb design that are mounted with wire into the frame. These foundations are used to aid the bees in the creation of honeycomb where the eggs are laid and honey is stored. In this hive system, the box (or multiple boxes if the colony is large) is generally used as the brooding nest as it is warmer, which is essential to survival of the queen and the eggs. The last frame in this system is designed with a specific end frame (fig. 6) that allows worker bees, but not the queen, to ascend into the upper section where they store honey.
UPPER SECTION (C)
This is a secondary, shallower wooden box that rests on top of the nesting box and also has frames and foundations (fig.7). The queen is not able to access this section of the hive to ensure that no eggs are laid in the comb, where they are less prone to survive. This is essentially where all the honey is stored. Honey is basically a bee’s food, and so it is important that they have enough of a supply of it in the comb throughout the winter, but if the production season was particularly difficult, the beekeeper can feed the bees. This is done with the hive inner cover (fig.8) which has a hole cut out where a feeder can be placed if necessary. The entire hive is capped with a top cover (fig.9) which is usually made of metal to provide the best protection of the hive throughout the winter.
A fine maggio termina la raccolta del miele d’acacia, una delle qualità più conosciute, utilizzate e apprezzate, nonché una delle prime ad essere raccolte. In tutta Italia, delicatamente, gli apicoltori cominciano a estrarre il prezioso “nettare” dalle arnie.
Vi siete mai chiesti come è fatta un’arnia e come funziona questo strumento di lavoro? Ve lo spieghiamo in questo post.
UNA DEFINIZIONE DI ARNIA
L’arnia è una struttura artificiale creata dall’uomo per facilitare la crescita di una colonia di api e la successiva raccolta del miele. Un’arnia accoglie fino a 90 mila individui ed è un microcosmo razionale e organizzato: il suo compito principale è quello di dividere la zona della covata (nido) da quella della produzione e stoccaggio del miele (melario), al fine di poter estrarre i favi che lo contengono senza danneggiare le api.
L’ITALICA-CARLINI
La storia del miele ci ha consegnato molti tipi di arnia: in paglia, terracotta, ricavata da tronchi cavi, disposta in modo orizzontale o verticale. Sommariamente, le arnie possono essere divise in due gruppi: a favo fisso, ovvero in unico contenitore, e a favi mobili, divise in più contenitori (nido-melario). Sono quest’ultime le arnie tutt’ora impiegate in apicoltura perché salvaguardano le colonie di api: le arnie fisse ad unico contenitore infatti, costringevano gli apicoltori ad estrarre il miele scacciando o uccidendo l’intera colonia. Il perfezionamento dell’arnia a favi mobili, o razionale, si deve a Lorenzo Lorraine Langstroth, pastore e inventore statunitense che, nel 1851, scoprì lo «spazio dell’ape» e riorganizzò la struttura delle arnie. Oggi, l’arnia più diffusa nel nostro paese è l’Italica-Carlini, basata sull’arnia di Langstroth, successivamente modificata da Johann Blatt e Charles Dadant e adottata, nel 1932, dal Congresso nazionale degli apicoltori come modello di riferimento per l’esercizio dell’apicoltura nel nostro Paese.
LA STRUTTURA
La struttura dell’arnia Italica-Carlini si può essenzialmente dividere in tre parti: il fondo, il nido e il melario. Vediamole nel dettaglio.
FONDO (A)
Il fondo (1) è la base di appoggio di tutta l’arnia. Le caratteristiche principali sono tre: un’apertura sulla base che consente l’utilizzo di un fondo mobile (3), per controllare indirettamente lo stato di salute delle api; una separatoreanti-varroa (2), che impedisce all’acaro parassita varroa destructor (molto diffuso tra le api) di risalire una volta caduto dal nido; una griglia metallica (4) posta all’ingresso del nido, che permette l’ingresso e l’uscita delle api bloccando l’accesso a insetti e animali di maggiori dimensioni.
NIDO (B)
Il nido è una scatola in legno al cui interno sono ospitati i telaini da nido (5), ovvero telaini mobili “armati” con fili di metallo su cui viene appoggiato il foglio cereo. Quest’ultimo è uno strato di cera in cui sono sovraimpresse cellette esagonali: serve per favorire la creazione del favo dove verranno allevate le api operaie. Il nido termina con la griglia escludi-regina (6) che impedisce alla regina, ma non alle operaie, di salire nel melario con la covata
MELARIO (C)
Il melario è un parallelepipedo di legno che viene posto sopra all’escludi regina. Come il nido, permettere l’appoggio dei telaini da melario (7). È qui che le api operarie, nei periodi di produzione, costruiscono i favi in cui depositare il miele che, lo ricordiamo, costituisce l’alimento della colonia durante la stagione invernale. Il melario è chiuso dal copri-favo (8), attraverso il quale l’apicoltore alimenta le api in caso di necessità, e il tetto (9), su cui viene fissata una lamiera metallica per garantire una maggiore protezione all’arnia contro gli agenti atmosferici.
The end of May means the end of acacia pollen collection and the beginning of acacia honey. Across Italy, beekeepers are starting the delicate work of extracting this precious ‘nectar’ from their hives. Honey from acacia is one of the first to be harvested each year and is widely appreciated for its gentle taste and golden colour.
Have you ever wondered how beekeeprs collect and harvest honey? Special hives that are grouped together in an apiary is central to the work and in this post, we are explaining how they function.
DEFINITION OF AN APIARY
An apiary is where manmade beehives are kept. Hives are enclosed structures that are designed with the purpose of raising a colony and then collecting the honey without harming the bees. An apiary is the place where either hobbyists or professional beekeepers house their hives for optimal performance. Natural hives are actually called nests and it is impossible to collect the honey without destroying it, whereas hives are structured with frames for the bees to build comb, just as they would in the nest and organize the colony into brooding cells and production cells.
ITALICA – CARLINI
The history of honey is full of various types of hives used by man: straw, terracotta, or even hollowed logs laid in strategic vertical/horizontal arrangements. Throughout most of this history it was nearly impossible to collect honey without destroying the hive and the colony. These traditional hives are called ‘fixed-frame’ since they were simply built to protect the colony while producing honey, but since there were no internal structures in the hive, the bees would build honeycomb in an uncontrolled way which led to its eventual destruction when it came time to collect. Overtime fixed-frame hives slowly developed into what today are called ‘mobile-frame’ hives, which meant beekeepers could both collect honey and ensure the continuation of their colony. A pioneer in this method of hive-building was Lorenzo Lorraine Langstroth, an American shepherd and inventor who built the first top-open box hive with moveable frames based on his study of ‘bee-space.’ Today, the most widely used hives in Italy are called Italica-Carlini and are based on the Langstroth hive with key modifications introduced by Johan Blatt and Charles Dadant. The immense success of these hives is clear. In 1932, the National Congress of Beekeepers chose the Italica-Carlini hive as the best in practice for Italian beekeepers and it hasn’t changed since!
THE STRUCTURE
The structure of Italica-Carlini hives can be divided into three basic parts: the lower section, the boxes and the upper section.
LOWER SECTION (A)
The lower section (fig.1) provides the foundation of the entire hive as well as the main entrance/exit for the bees. This section can also be broken down into the three main parts: the bottom board which provides the bottom closure of the hive and has an extended ‘landing board’ where the bees can enter or exit the hive (fig. 3), a verroa destructor which functions as a separator between the hive and harmful varroa mites (a common pest to bees) (fig.2) and lastly, a metal grid (fig.4) that is placed at the entrance of the boxes that stops bigger bugs and animals from entering the hive.
BOXES (B)
The box or boxes can be best described as the nest of the hive. Each box houses between 8-10 frames and foundations (fig.5). The frames are generally made of wood and the foundation is a waxed sheet of paper with an etched comb design that are mounted with wire into the frame. These foundations are used to aid the bees in the creation of honeycomb where the eggs are laid and honey is stored. In this hive system, the box (or multiple boxes if the colony is large) is generally used as the brooding nest as it is warmer, which is essential to survival of the queen and the eggs. The last frame in this system is designed with a specific end frame (fig. 6) that allows worker bees, but not the queen, to ascend into the upper section where they store honey.
UPPER SECTION (C)
This is a secondary, shallower wooden box that rests on top of the nesting box and also has frames and foundations (fig.7). The queen is not able to access this section of the hive to ensure that no eggs are laid in the comb, where they are less prone to survive. This is essentially where all the honey is stored. Honey is basically a bee’s food, and so it is important that they have enough of a supply of it in the comb throughout the winter, but if the production season was particularly difficult, the beekeeper can feed the bees. This is done with the hive inner cover (fig.8) which has a hole cut out where a feeder can be placed if necessary. The entire hive is capped with a top cover (fig.9) which is usually made of metal to provide the best protection of the hive throughout the winter.
Forse meno conosciuto delle Langhe, il Roero è una terra ricca di contrasti e sfumature, culla non solo di una fiorente viticoltura, ma di produzioni agroalimentari d’eccellenza che sono alla base dei prodotti Brezzo
Osservando il percorso del Tanaro su di una mappa scoprirete una cosa curiosa. Se a Sud le curve delle Langhe si innalzano fino a diventare Appennino Ligure, a Nord, sulla direttrice che idealmente collega Bra, Alba e San Damiano d’Asti la pianura scavata dal fiume crea un altro sistema collinare che, altimetricamente più basso, si spegne nella pianura di Torino, verso Ceresole. Questa zona, che si distende sul confine nordorientale della provincia di Cuneo, è il Roero.
Caratterizzato da colline verdissime e frastagliate, il Roero è assai più vario delle vicine Langhe: orti, boschi di latifoglie e castagneti, frutteti, piccoli laghi e, soprattutto, le Rocche, imponenti calanchi che, d’improvviso, rompono il paesaggio creando bastioni di roccia e canyon profondi anche centinaia di metri, immediatamente evidenti perché espongono il ventre della collina: il giallo delle arenarie che qui caratterizzano i suoli del Roero.
Già, perché il Roero, originatosi circa 11 milioni di anni fa era una zona costiera, una sorta di immensa costa con fondali bassi e sabbiosi che si affacciava sul mare Padano. Ancora oggi, basta scavare un poco il terreno per ritrovare fossili e conchiglie depositatesi ere geologiche fa. In sintesi, i suoli del Roero differiscono da quelli di Langa per un’età globalmente più giovane e per una considerevole presenza di sabbie fini e calcaree, peculiarità che ha permesso al Roero di differenziare le colture: non solo vigneti, ma orticoltura e frutticoltura d’eccellenza.
Terra di grandi vini
Inutile negarlo, il Roero è terra di vini. Su tutti spiccano il Roero Docg e il Roero Arneis Docg. Il primo è un rosso ottenuto da uve nebbiolo: di buon corpo, strutturato e longevo, conserva profumi e sapidità tipici dei suoli sabbiosi e calcarei. Il Roero Arneis è invece uno dei più importanti bianchi del Piemonte. Ottenuto in purezza da uve arneis (il cui nome deriverebbe dalla località Renesio ubicata vicino a Canale d’Alba), l’Arneis regala freschezza e note elegantemente fruttate, di fiori bianchi e erbacee. In bocca fresco e asciutto, con il tipico finale amarognolo che lo rende inconfondibile. Sulle colline del Roero si producono anche Favorita, Barbera e alcuni vini da vitigni internazionali ormai “tradizionali” come lo Chardonnay e il Sauvignon. Non molti sanno, infine, che nel Roero si può produrre anche il Moscato d’Asti: Santa Vittoria d’Alba è l’unico comune della zona in cui è concessa la produzione perché un tempo sede della famosa ditta Cinzano, che utilizzava le uve di Moscato come base del Vermouth.
Per capire la ricchezza orticola del Roero basterebbe fare un giro al Mercato Ortofrutticolo del Roero: oltre 400 contadini che espongono il meglio delle produzioni locali. Tra gli ortaggi e la frutta prodotti in zona, per fare qualche esempio, spiccano le pesche del Roero, le albicocche, le pere Madernassa, le mele renette, i peperoni, gli asparagi, i porri, le fragole (celebrate a Sommariva Perno da una sagra dedicata), le castagne del Roero e le nocciole Piemonte IGP.
Prodotto tipico delle zone intorno a Canale d’Alba e Monteu Roero, la coltivazione della pesca avviene ancora secondo la tradizione, su terreni anche scoscesi, bene esposti, dove non è possibile ricorrere all’irrigazione. Le pesche si diffusero nel Roero per sostituire i filari colpiti da fillossera alla fine del XX secolo con notevole fortuna commerciale. Dal punto di vista varietale prevalgono le cultivar con buccia pelosa e a polpa gialla. In tutto il Roero si sta assistendo ad un imponente sforzo di recupero e valorizzazione di antiche varietà un tempo coltivate in questa zona.
Vanto del Roero, la pera Madernassa è protetta e valorizzata dall’omonimo Consorzio. Leggenda vuole che la pianta madre nacque da un seme caduto per caso in un appezzamento della cascina Gavello della Borgata Madernassa su di una collina posta tra i paesi di Guarene e di Castagnito. Da lì si diffuse per le sue caratteristiche: un frutto croccante e asprigno, con note agrumate, perfetto da cuocere e da utilizzare in ricette raffinate.
La Nocciola Piemonte IGP
Sicuramente la più pregiata nocciola al mondo grazie al sapore delicato e persistente, per consistenza e duttilità di impiego nelle produzioni di pasticceria. È lei la «Regina Nocciola» diffusa nelle Langhe e nel Roero: sulla sua raccolta si basa gran parte dell’economia agricola della zona, subito dopo la viticoltura.
Ebbene sì. I Boschi del Roero sono un grande bacino di raccolta del pregiatissimo Tartufo Bianco d’Alba, la cui raccolta comincia il 21 settembre per terminare il 31 gennaio. Il Re dei Funghi ama comparire sotto i noccioli, i tigli, le roveri e le roverelle, le querce e i pioppi: varietà che abbondano nelle zone selvagge del Roero e vicino alle Rocche, dove umidità e fonti d’acqua contribuiscono a far sviluppare il pregiatissimo Tuber magnatm Pico.
L’apicoltura del Roero è una tradizione consolidata. Nel 2003 è stata inaugurata la Strada del miele del Roero, un “corridoio paesaggistico-culturale” di circa 38 Km che parte da Bra e giunge a Cisterna d’Asti, passando per Ceresole d’Alba e Monteu Roero. Sulla strada e i sentieri connessi sono ancora ben visibili le tracce antiche e moderne del patrimonio apistico e della cultura materiale che fanno del Roero una dolcissima “terra del miele”. Nel Roero si producono soprattutto mieli di tarassaco, castagno, ciliegio, acacia, millefiori e melata di bosco.
Perhaps less well-known than the Langhe, Roero is a land rich in contrasts and nuances, the cradle of not just a flourishing winegrowing industry, but also farming of high quality fresh produce that is at the basis of Brezzo products.
Observing the course of the Tanaro river on a map, you will discover a curious fact. While to the south the hills of the Langhe rise to become the Ligurian Apennines, to the north, on the trajectory that connects Bra, Alba and San Damiano d’Asti, the plain created by the river forms another system of hills, lower in height, which comes down to the Turin plain towards Ceresole. This area, which extends to the north-eastern border of Cuneo province, is Roero.
Characterized by green, rugged hills, Roero is much more varied that the nearby Langhe. Vegetable farms, woods of deciduous trees and chestnut groves, fruit orchards, small lakes and above all the Rocche, imposing calanques that suddenly break up the landscape, creating rocky pinnacles and ravines up to hundreds of metres deep that expose the innards of the hill – the yellow of the sandstone that characterizes the soil of Roero.
Roero, which originated around 11 million years ago, was once a coastal area, a sort of immense coast with sandy shallows along the Po Sea. Even today, you just have to dig a little way down into the earth to find fossils and shells deposited geological eras ago. In short, the soils of Roero differ from those of the Langhe as being globally younger and with a considerable presence of fine, calcareous sand, a feature that has allowed Roero to diversify its crops – not just vineyards, but high quality fruit and vegetable farming. .
Land of great wines
It’s no use denying it, Roero is a land of wines. Standing out above all are Roero DOCG and Roero Arneis DOCG. The former is a red obtained from Nebbiolo grapes; full bodied, well-structured and long lived, it retains the scents and sapidity typical of its sandy, chalky soil. Roero Arneis, on the other hand, is one of Piedmont’s most important white wines. A single-varietal made with Arneis grapes (the name comes from the Renesio hill near Canale d’Alba), Arneis offers freshness and elegantly fruity, white flower and grassy notes. Fresh and dry in the mouth, it has a typical slightly bitter finish that makes it unmistakeable. Also produced on the Roero hills are Favorita, Barbera and a number of wines from by now “traditional” international varieties such as Chardonnay and Sauvignon. Finally, not many know that Moscato d’Asti can also be produced in Roero. Santa Vittoria d’Alba is the only municipality in the area where its production is allowed as it was once the site of the famous Cinzano company, which used Muscat grapes as a basis for Vermouth
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Extraordinary vegetable and fruit farming
To understand the diversity and abundance of Roero’s horticulture, you just have to stroll around the Roero Fruit and Vegetable Market where more than 400 farmers display the best of local produce. Of particular note among the fruit and vegetables grown in the area, for example, are Roero peaches, apricots, Madernassa pears, rennet apples, bell peppers, asparagus, leeks, strawberries (celebrated at Sommariva Perno with a dedicated food fest), Roero chestnuts and Piedmont IGP hazelnuts.
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The peaches that saved Roero
A typical product of the area around Canale d’Alba and Monteu Roero, peaches are still grown in the traditional way on steep well-exposed slopes where irrigation is not possible. Cultivation of peaches spread throughout Roero to replace the vines stricken by phylloxera in the late 19th, century, with considerable commercial success. The most widely-grown varieties are the fuzzy skinned, yellow fleshed cultivars. All over Roero great efforts are being made to revive and promote old varieties once grown in this area.
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The Madernassa pear
The pride of Roero, the Madernassa pear is protected and promoted by a Consortium of the same name. According to legend, the mother tree came from as seed that had fallen by chance on a plot of the Gavello farm in Borgata Madernassa on a hill situated between Guarene and Castagnito. As its qualities became known, it spread throughout the area. Crisp, with a slightly tannic flavour and citrus notes, it is an excellent cooking pear for use in delicious dishes.
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The Piedmont IGP Hazelnut
Without doubt the world’s most prized hazelnut due to its delicate, persistent flavour, consistency and myriad uses in confectionery products. The “Queen of Hazelnuts” is found throughout the Langhe and Roero, and the crop accounts for a large part of the area’s agricultural economy, second only to winegrowing.
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White Alba Truffle
Oh yes, the woods of Roero are a great catchment area for the highly-prized White Alba Truffle, which is gathered starting on 21 September until 31 January. The king of mushrooms prefers the ground under hazel trees, lime trees, oaks, durmasts and poplars, all species that are abundant in the untamed areas of Roero and around the Rocche, where dampness and springs contribute to development of the sought-after Tuber magnatm Pico.
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IHoney
Beekeeping is a well-established tradition in Roero. In 2003 the Roero Honey Road was established, an approximately 38k long “scenic-cultural corridor” that begins in Bra, passes through Ceresole d’Alba and Monteu Roero and ends in Cisterna d’Asti. Clearly visible along the road and intersecting trails are ancient and modern signs of the beekeeping culture that makes Roero a sweet “land of honey”. In Roero we produce above all dandelion, chestnut, cherry, acacia, wildflower and honeydew honeys.
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Giuseppe Brezzo, seconda generazione della famiglia, ci racconta la straordinaria avventura del padre Gervasio, pioniere del miele piemontese e dell’apicoltura nomade: tra studio, fatica e dedizione alla sua terra.
Giuseppe Brezzo
Il miele nel sangue. Nelle punture delle api a cui, dopo un po’, fai l’abitudine. Il miele sulle spalle. La cui pelle diventa come cuoio dopo che, per tutta la notte, carichi e scarichi le arnie per raggiungere i prati della Valle Maira, dove far bottinare le api sui fiori di montagna. Il miele nelle gambe. Quando per anni imbracci la bicicletta e pedali da Monteu Roero a Reaglie, tra Torino e Pino Torinese, ad ascoltare le lezioni di Don Giacomo Angeleri, il primo maestro di apicoltura in Piemonte.
La famiglia Brezzo ha un rapporto speciale con il miele. Una storia di sacrifici, di passione, di attese, di sfide. Soprattutto di fatica e di imprenditoria volta a valorizzare e promuovere un prodotto che, poco più di 50 anni fa, era tenuto in poca considerazione, utilizzato per curare un raffreddore, al più per lenire gli effetti del mal di gola.
«Ho “giocato” con le api fin dai primi anni della mia infanzia. Mi pungevano in continuazione perché imitavo mio padre che curava gli alveari in un prato vicino a casa», racconta GiuseppeBrezzo, figlio di Gervasio, fondatore, nel 1948, dell’omonima azienda. «Dopo la guerra, la mia famiglia aveva deciso di affiancare al lavoro della campagna e delle vigne – quasi distrutte dalla fillossera – una produzione di miele del Roero. Era un mezzo come altri per uscire dalla miseria di quegli anni, per integrare il salario. Quando vedevo mio padre alzare i telaini pieni di miele e sorridere riconoscevo che il suo, più che un lavoro, era la passione che avrebbe voluto tramandare alla sua famiglia e il nostro progetto per il futuro».
Non tutti però credevano nelle potenzialità del miele.
«Ricordo che mio padre, quando volle cominciare sul serio a fare apicoltura, dovette nascondere i telai dalla zia, perché non li vedesse il nonno. Solo dopo avergli dimostrato che si poteva guadagnare con il miele poté operare alla luce del sole: all’epoca ogni investimento che non fosse in agricoltura o nel solco della tradizione era considerato una spesa inutile».
La passione, però, non basta. Il miele e le api sono un’azienda complessa da far funzionare: accanto alla pratica bisogna dotarsi di una seria preparazione teorica.
«Non c’erano né scuole né maestri di apicoltura nel Roero. Per studiare, mio padre si alzava di notte, la domenica, e raggiungeva in bici Reaglie, a 70 km di distanza, dove teneva messa Don Giacomo Angeleri. Sacerdote e formidabile divulgatore, chiuso il messale, Angeleri accoglieva apicoltori da tutto il Piemonte mostrando loro tecniche e segreti per razionalizzare l’apicoltura, aumentare la qualità del miele e professionalizzare gli operatori. Svecchiava le conoscenze e le pratiche superstiziose attraverso metodi sperimentali e scientifici, aveva scritto un libro, Cinquant’anni con le api e gli apicoltori, tutt’ora un’opera fondamentale per chi si avvicina a questa professione».
A Don Angeleri si deve anche la spinta a cominciare il primo e pioneristico nomadismo delle api.
«Nessuno praticava il nomadismo delle api perché nessuno aveva ancora pensato di seguire le fioriture per produrre mieli di diversa qualità. Don Angeleri aveva un centro sperimentale a Pragelato e aveva mostrato a mio padre come portare in montagna le api e farle bottinare. Il primo camion, con 15 famiglie, fu salutato come una pazzia a Monteu Roero. Si caricava di notte, si legava tutto con delle corde, si partiva per la montagna e, prima di colazione, le arnie erano già state scaricate e piazzate nei campi. Festeggiavamo con pane, salame e qualche bicchiere di vino. Ma la vera fatica era seguire la produzione di miele lungo le stagioni. Ogni due o tre settimane, Gervasio si caricava lo smielatore sulla bicicletta e raggiungeva le arnie per raccogliere il miele appena prodotto. Solo più tardi decidemmo di attrezzare un laboratorio per la raccolta e la lavorazione in loco».
Dove portavate le api?
A Chialvetta, piccola frazione di Acceglio, in Valle Maira. Un paradiso incontaminato di prati e pascoli di montagna. Dagli anni ’50 è ancora oggi il nostro centro produttivo per il miele di montagna e il miele di rododendro.
Perché non tenevate le api in quota?
Allevare le api in montagna è estremamente difficile. Mentre in primavera e in estate trovano il clima e la flora ideale per bottinare, in inverno le temperature sono troppo rigide per la loro sopravvivenza. Il nomadismo apistico è simile alla transumanza: la bella stagione serve per “pascolare” le api seguendo le fioriture dei campi. D’inverno è necessario spostarle in luoghi più caldi e accoglienti, dove possono essere nutrite e accudite con maggiore facilità.
Quali sono le maggiori differenze fra l’apicoltura di un tempo e quella contemporanea?
A livello di tecniche, non vi sono grandi differenze. Si utilizzano la stessa cura, le stesse attenzioni, gli stessi strumenti, anche se oggi, in parte, sono meccanici e non più manuali. Oggi la quantità di miele si è tuttavia ridotta a causa dei mutamenti climatici. Le stagioni hanno temperature anomale e variabili: gelate improvvise in primavera o inverni troppo caldi disorientano le api e minano la loro produttività. Il paradosso è che un tempo si raccoglieva tanto miele da non riuscire a venderlo, mentre oggi la richiesta supera la stessa capacità di produzione. Siamo contenti, la riscoperta del miele come prodotto d’eccellenza è anche il frutto dei nostri sacrifici. Ma l’apicoltore di oggi è chiamato a una sfida: difendere la stessa sopravvivenza delle api per continuare a produrre un miele di qualità, puro, incontaminato, uniflorale, espressione viva del suo territorio d’origine.
Qual è l’aspetto dell’apicoltura che le ha regalato e continua a regalarle più soddisfazioni?
Credo che la risposta sia scritta nella storia stessa della famiglia Brezzo. Mio padre Gervasio è stato un pioniere, uno che ha creduto nel proprio territorio e nella qualità dei suoi prodotti. Dopo la guerra non si è lottato solo per la sopravvivenza, ma anche contro lo spopolamento: i giovani abbandonavano le colline per lavorare nell’industria automobilistica di Torino, allora in piena espansione. Mio padre ha regalato alla nostra famiglia una ragione per restare e per lavorare nel Roero. Lo ha fatto riscoprendo tradizioni e valori insiti nella sua stessa terra, prendendo ciò che c’era e – senza badare alla fatica e alle difficoltà – trasformandolo in un’eccellenza oggi riconosciuta e apprezzata in Italia e nel mondo.
Battista Cauda e Gervasio Brezzo vicino alle arnie di montagna
[:en]
Giuseppe Brezzo, who belongs to the second generation of his family, recounts the extraordinary adventure of his father Gervasio, a pioneer of Piedmont honey and nomadic beekeeping: his studies, fatigue and dedication to this land.
Giuseppe Brezzo
Honey in the blood. In the bee stings, something you get used to after a while. Honey on the shoulders. Whose skin resembles hide leather following an entire night spent loading and unloading hives bound for the meadows of the Maira Valley where the bees forage on mountain flowers. Honey in the legs. When, for years on end, astride a bike, you have peddled from Monteu Roero to Reaglie, from Turin and Pino Torinese, to listen to the lessons held by Don Giacomo Angeleri, the first beekeeping expert in Piedmont.
The Brezzo family has a special relationship with honey. A story consisting of sacrifice, passion, waiting and challenges. Above all, hard work and entrepreneurship focused on valorising and promoting a product which, just over 50 years ago, was considered to be of scarce value, used merely to cure a cold or to relieve a sore throat.
«I have “played” with bees ever since being a toddler. They used to sting me all the time because I copied my father who looked after the hives in a meadow close to our house», recounts Giuseppe Brezzo, son of Gervasio, who founded the eponymous firm in 1948. «After the war, my family had decided to integrate their farming and vineyard activities – almost destroyed by the phylloxera – with a Roero honey production. It was a way as good as any other to combat the poverty of those years and earn a little extra money. When I saw my father lift up the frames and smile, I realized that this activity was not just a job, but a real passion he would have liked to pass down to his family as our project for the future».
However, not everyone believed in the potential of honey.
«I remember that my father, when he decided to go in for beekeeping in a serious way, had to hide the frames at my aunt’s house to prevent my grandfather from seeing them. Only after proving he could make a profit out of honey, was he able to do it openly: at the time, any investment that was not made in farming or in traditional activities was considered to be a waste of resources».
Enthusiasm, however, is not enough. Honey and bees are a complex business to run: the practical side of the activity has to be backed up by a sound theoretical knowledge.
«There were no beekeeping schools or teachers in the Roero area. In order to study, my father got up during the night, on Sundays, and went by bike to Reaglie, 70 km away, where Don Giacomo Angeleri said mass. A priest and a fantastic teacher, when Angeleri closed his missal, he welcomed beekeepers from all over Piedmont, showing them the techniques and secrets to rationalize their activity, to heighten the quality of honey and to provide operators with professional training. He updated existing knowledge and debunked old wives’ tales by using experimental and scientific methods. He also wrote a book entitled Cinquant’anni con le api e gli apicoltori (Fifty years with bees and beekeepers), which is still an essential textbook for anyone approaching this profession».
It is also thanks to Don Angeleri that the first pioneering nomadic beekeeping began.
«No one practised nomadic beekeeping because it had not yet occurred to anyone to follow the various flowerings in order to produce different varieties of honey. Don Angeleri ran an experimental centre at Pragelato and had shown my father how to take the bees into the mountains to forage. The first truck, with 15 families, was judged to be pure folly at Monteu Roero. They were loaded during the night and everything was secured with ropes before setting off for the mountains. Before breakfast, the hives had already been unloaded and positioned in the fields. We celebrated with bread, salami and a few glasses of wine. But the toughest job was that of following the honey production through the seasons. Every two or three weeks, Gervasio loaded the honey extractor onto his bicycle and went to the hives to collect the newly produced honey. It was only later that we decided to equip a laboratory for collection and processing on site».
Where did you take the bees?
To Chialvetta, a small hamlet of Acceglio, in the Valley Maira. An uncontaminated paradise of mountain meadows and pastures. Since the 50’s, this has been and continues to be our production centre for mountain honey and rhododendron honey.
Why did you not keep the bees at that altitude?
It is extremely difficult to breed bees in the mountains. While they find the ideal climate and flora for foraging in spring and summer, they are unable to survive the harsh temperatures of winter. Nomadic beekeeping is similar to transhumance: the warm seasons are for putting the bees out to “pasture” as they follow the flowering periods in the fields. In the winter time, it is necessary to move them to warmer and more comfortable places where they can be fed and looked after more easily.
What are the main differences between contemporary beekeeping and that of the past?
Technically speaking, there are no great differences. The same care and attention, the same equipment, even though present-day equipment is mechanical rather than manual. Today, the honey yield has decreased owing to climate change. Seasonal temperatures are anomalous and variable: sudden spells of frost in spring or excessively warm winters confuse the bees and negatively affect their productivity. The paradox is that, in the past, they used to collect more honey than could be sold, while today’s demand exceeds the production capacity. We are pleased to say that the rediscovery of the value of honey is also fruit of our hard work. But today’s beekeeper is facing a serious challenge: that of safeguarding the bees’ survival in order to continue producing a quality honey that is pure, uncontaminated, mono floral and a living expression of its land of origin.
Which particular aspect of beekeeping has given you and continues to give you most satisfaction?
I think the answer lies in the Brezzo family history. My father Gervasio was a pioneer, one who believed in his land and in the quality of his products. After the war, he not only struggled to survive but also opposed depopulation caused by young people leaving the hills to work in Turin’s automotive industry, which was then in rapid expansion. My father gave our family a reason for staying and working in the Roero area. He did so, by rediscovering the traditions and values typical of this land, by taking what existed – despite the fatigue and hardship – and transforming it into an excellent product now acclaimed and sought after in Italy and abroad.
Per rispondere a questa domanda abbiamo intervistato Fabio Brezzo, che ci ha raccontato il paziente, minuzioso e appassionato lavoro che sta dietro la creazione di un’idea alimentare di qualità Brezzo.
Fabio, ad aprile presenterete il nuovo catalogo. È vero che utilizzate i mesi invernali come fucina di sperimentazione per nuovi prodotti?
Non ci fermiamo mai. I mesi invernali, dopo le consegne natalizie, sono il periodo perfetto per dedicarsi all’innovazione e alla creazione delle idee alimentari di qualità che andranno ad implementare la gamma del nostro catalogo. Un tempo contadini e apicoltori vivevano il periodo invernale come una sorta di riposo forzato. Oggi noi mettiamo questo tempo a servizio della creatività.
Qual è il punto di partenza per la creazione di un’idea alimentare?
L’amore per i propri prodotti, la passione verso il proprio lavoro e, soprattutto, la curiosità. Brezzo è una realtà in continuo movimento. Durante tutto l’anno assaggiamo prodotti, facciamo ricerche, annotiamo osservazioni e scopriamo prodotti di nicchia, sconosciuti al grande pubblico. Molte volte partiamo dal miele, che è il nostro core business. Cerchiamo abbinamenti interessanti, nuove forme di consumo, varietà rare e pregiate.
Ci puoi fare un esempio?
La nostra Delizia di Miele e Zafferano della linea Zafferano “Oro Rosso” nasce dall’incontro di due prodotti d’eccellenza. Volevamo proporre il nostro finissimo miele d’Acacia in una versione nuova ed inedita. Abbiamo perciò pensato ad un’altra eccellenza italiana, lo zafferano di Sardegna prodotto e raccolto in quantità limitate nel Sud dell’isola, secondo antiche tradizioni. Da questa intuizione è nato un prodotto dal gusto inconfondibile, intenso e sorprendente, capace di stupire il più esigente dei gourmet e di abbinarsi a tutti i tipi di formaggio.
Dove avvengono le prime prove dei nuovi prodotti?
Siamo un’azienda orgogliosamente familiare e il nostro primo laboratorio è la cucina di casa. Assaggiamo, valutiamo, proviamo nuovi accostamenti, sempre nel rispetto della tradizione. Solo se un prodotto ci soddisfa pienamente tra le mura domestiche lo riproduciamo nel laboratorio aziendale, aggiungendo quelle attenzioni alla replicabilità e alla sicurezza secondo le norme vigenti.
Vi appoggiate a enti certificatori esterni?
Certamente. Prima dell’immissione sul mercato, tutti i prodotti vengono certificati da un laboratorio esterno che ne attesta la qualità. I nostri prodotti biologici sono garantiti da Bioagricert, ad esempio, uno dei più severi certificatori italiani, che effettua controlli periodici su tutta la filiera, dal campo alla tavola.
È vero che lavorate in stretto contatto con i Brezzo Partner e gli agenti?
Condivisione è la parola chiave durante il processo di creazione di un’idea alimentare di qualità. Dopo le prove, coinvolgiamo i nostri agenti, i Brezzo Partners e i collaboratori di fiducia perché ci diano il loro parere. Ci confrontiamo serenamente anche su formati, trend di mercato e abitudini reali dei consumatori: solo così possiamo formulare prodotti buoni, intelligenti, dal giusto prezzo.
Quali principi qualitativi guidano la realizzazione di un’idea alimentare Brezzo?
L’eccellenza delle materie prime che utilizziamo, il loro pregio e la rarità, ci impongono lavorazioni rispettose, che valorizzino il gusto unico e territoriale delle stesse. Utilizziamo cotture lente, delicate e a basse temperature. Il miele, ad esempio, non viene pastorizzato, al fine di preservare tutte le sue caratteristiche organolettiche e le peculiarità date dalle varietà di fiori da cui le api ottengono il nettare. Coerentemente con queste scelte, abbiamo deciso di valorizzare la tipicità non utilizzando conservanti, edulcoranti, esaltatori di sapidità o sofisticazioni di alcun genere. Il nostro è un lavoro artigianale, testimone di tradizioni e tipicità che non vogliamo perdere.[:en]
To answer this question, we talked to Fabio Brezzo, who told us about the patient, painstaking, dedicated work that goes into the creation of a Brezzo quality food concept.
Fabio, you’ll be presenting a new catalogue in April. Is it true that you experiment with ideas for new products during the winter?
We never stop working. After our Christmas deliveries, we spend the winter months focusing on innovation and creation of ideas for quality foods to add to the range in our catalogue. At one time, farmers and beekeepers used to rest in winter, whether they wanted to or not; but now we take advantage of this time for creative work.
What is the starting point for a new food idea?
Our love of our products, our passion for our work and, above all, our curiosity. Brezzo never stops working, year-round. We sample products, conduct research, take notes and discover niche products unknown to the general public all year round. We often start with honey, our core business; we look for interesting combinations, new forms of consumption, rare and precious varieties.
Can you give us an example?
Our Delizia di Miele e Zafferano from our Zafferano “Oro Rosso” saffron line brings together two outstanding products. We wanted to offer a new and different version of our fine Acacia honey, and we came up with the idea of combining it with another truly outstanding Italian product, Sardinian saffron, grown and harvested in limited quantities in the south of the island according to an ancient tradition. This intuition led to a product with a unique, intense, surprising flavour that will surprise even the most demanding gourmets, delicious with cheeses of all kinds.
Where are new products first tried?
We are proud to be a family-run company, and our first laboratory is our home kitchen. We taste, evaluate, and try new combinations, always with respect for tradition. Only if a product fully satisfies us in the home will we make it in our company’s workshop, adding the measures necessary to ensure replicability and food safety in accordance with the legislation.
Do you rely on external certifying bodies?
Of course. Before our products are released on the market, they are always certified by an external testing laboratory to attest to their quality. Our organic products are guaranteed by Bioagricert, for example, one of Italy’s strictest certifying bodies, which conducts periodic inspections of all stages in the production process, from the farm to the table.
Is it true that you work in close contact with Brezzo Partners and agents?
Sharing is the key to the process of creation of a quality food concept. After trying it, we involve our agents, Brezzo Partners and trusted assistants, asking for their opinion. We compare notes on formats, market trends and consumers’ real habits, so as to come up with products that are good, intelligent, and priced right.
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What are the principles of quality behind the creation of a Brezzo food concept?
The excellence of the ingredients we use, their value and rarity, demand that we treat them with respect, making the most of their unique flavour and local character. We cook them slowly, gently, at a low temperature. Honey is not pasteurised, to ensure that all its sensory qualities are preserved, along with the peculiarities of the variety of flower from which the bees obtained the nectar. Consistently with this policy, we underline the specific qualities of food products by preparing them without any preservatives, sweeteners, flavour enhancers or other forms of alteration. Our craftsmanship preserves and testifies to the traditions and local character of the ingredients we use.
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