da Brezzo | Nov 30, 2017 | Apicoltura, Blog, Cultura, Miele
Conosciamo davvero il mondo delle api? Sapevate che la nostra relazione con questi laboriosi insetti risale a più di 9 mila anni fa? Che attraverso le api l’uomo ha imparato la tecnica della mummificazione? E cosa fanno le api d’inverno? Dedichiamo questo post a svelare alcune curiosità sulle api e a sfatare alcuni miti.
UN’ALLENAZA PREISTORICA
Tra le cooperazioni “socio-economiche” che si sono spontaneamente formate tra differenti specie animali, una delle più longeve è sicuramente quella instaurata tra uomini e api: la prima immagine iconografica che ne testimonia l’alleanza, cioè la raffigurazione di un alveare e di un cacciatore di miele – venne ritrovata nel 1921 sulla parete di Cueva della Araña – una grotta spagnola sita nella provincia di Valencia – e risale a circa 9000 anni fa. L’apicoltura vera e propria cominciò poco dopo, quando a seguito della rivoluzione del Neolitico l’essere umano passò dal nomadismo alla sedentarietà ed iniziò ad allevare le api dentro dei contenitori.
CHI HA DETTO CHE SENZA API LA VITA SULLA TERRA SI ESTINGUEREBBE?
«Se l’ape scomparisse dalla faccia della Terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita!»: questo celebre monito, attribuito nientedimeno che ad Albert Einstein, comparve per la prima volta in un volantino che l’Unione Nazionale Apicoltori Francesi distribuì a Bruxelles durante una protesta, avvenuta nel 1994, contro la concorrenza – giudicata sleale – che il miele d’importazione faceva a quello transalpino. Tuttavia, non esistono fonti che confermino la paternità dell’aforisma al celebre scienziato: alcuni sostengono che la frase venne coniata da un entomologo americano che tuttavia la presentò come frutto dell’ingegno dello scopritore della relatività per darle più celebrità, altri invece affermano che fu suggerita dall’UNAF. Chiunque sia l’autore, il ruolo delle api nella salvaguardia della biodiversità è acclarato, l’impollinazione è uno dei fattori più importanti per lo sviluppo delle piante e sebbene non solo le api contribuiscano a questa funzione, di sicuro svolgono un ruolo fondamentale.
TUTANKHAMON E LE API
A proposito della sinergia tra esseri umani e api, è interessante notare come quest’ultime abbiano insegnato all’uomo la tecnica della mummificazione. Quando un animale che le api percepiscono come di grossa taglia (ad esempio lucertole, coleotteri e topi) invade l’alveare, esso viene ucciso a colpi di pungiglione: le api però non sono in grado di trasportarne la carcassa, per loro troppo pesante, fuori dal loro habitat e per evitare i possibili pericoli causati dalla decomposizione lo ricoprono di propoli; essendo un potente antibiotico, tale sostanza preserva l’ospite indesiderato trasformandolo in una mummia. Intorno al 4000 a.C. gli antichi Egizi si accorsero di questo fenomeno e ne fecero uso in campo medico: i sacerdoti lo usarono per mummificare le spoglie dei faraoni (la propoli infatti viene rilevata in tutte le mummie dell’antico Egitto, compresa quella di Tutankhamon che è giunta ai giorni nostri praticamente intatta), mentre i medici la impiegarono per trattare le infezioni della pelle, dell’apparato respiratorio e come cicatrizzante e disinfettante delle ferite.
LE API INVERNALI
L’arrivo dell’inverno, con i suoi freddi e il progressivo accorciamento delle ore di luce, viene percepito nitidamente anche dalle api, che in questa stagione entrano in una fase di riposo, quasi un letargo, che lo porta anche a raggrupparsi all’interno del nido, nella zona più riparata e calda e in diretta corrispondenza delle provviste – miele e polline – per formare il cosiddetto “glomere”; questa azione dura fino a quando la temperatura interna raggiunge i 20-22°C. Non tutti sanno però che le api che nascono in inverno, destinate a superare tale periodo rigido per far sopravvivere la famiglia, sono molto più longeve delle api che vengono al mondo in estate: mentre per le secondo la speranza di vita si aggira intorno alle tre settimane, le prime possono arrivare anche a raggiungere i tre mesi di esistenza. Ciò dipende da alcune differenze fisiologiche che maturano inevitabilmente quando la stagione calda volge al termine: fin dalla nascita, le api “invernali” vengono allevate con una quantità di polline superiore a quella prevista per le loro sorelle che hanno avuto i natali nel periodo primaverile o estivo. In conseguenza di ciò, avvicinandosi all’inverno, la maggior parte delle operaie vede svilupparsi le ghiandole ipofaringee e altri “corpi adiposi” che contengono, oltre al grasso, anche proteine: tali sostanze andranno a costituire delle vere riserve nutritive e si riveleranno decisive nell’assicurare alle api una maggiore longevità. Infine, tramite il meccanismo della trofallassi le api riescono, attraverso le loro linguette dette ligule, a scambiarsi il miele che servirà loro come carburante per far vibrare i muscoli pettorali (un procedimento analogo a quello utilizzato dalle colonie di pinguini, che devono sopravvivere anche a 50° sotto zero): questo è uno dei più brillanti esempi esistenti in natura di come un essere vivente, seppur in condizioni assolutamente proibitive, possa resistere tramite una proficua collaborazione con i suoi simili e l’intero ecosistema.[:en]Do we really know much about the world of bees? Did you know that our relationship with these industrious insects dates back more than 9 thousand years? That Man learned the technique of mummification from bees? And what do bees do in winter? This post is devoted to revealing a number of fascinating facts, and debunking some myths about bees.
A PREHISTORIC ALLIANCE
One of the most enduring of all “socio-economic” partnerships that have formed spontaneously between different animal species is undoubtedly that established between man and bees. The earliest iconographic image testifying to this alliance, depicting a beehive and a honey gatherer, dates to about 9,000 year ago and was found in 1921 on the wall of Cueve della Araña, a group of caves in Valencia, eastern Spain. Beekeeping proper began shortly after, when following the Neolithic revolution, human beings went from being nomadic hunter-gatherers to sedentary agriculturalists, and began to raise social bees inside containers.
WHO SAID THAT WITHOUT BEES LIFE ON EARTH WOULD BECOME EXTINCT?
“If the bee disappeared off the face of the Earth, man would only have four years left to live!” This famous quote, attributed to none other than Albert Einstein, appeared for the first time in a leaflet distributed by the National Union of French Beekeeping during a demonstration held in Brussels in 1994 to protest what was considered unfair competition from imported honeys. However, there are no sources confirming the famous scientist’s paternity of the aphorism. Some say the phrase was coined by an American entomologist who presented it as that of the discoverer of relativity to give it more celebrity, while others claim it was entirely invented by the UNAF.
Whoever was the author, they overestimated the role of bees in safeguarding biodiversity. Before Christopher Columbus and European colonisation, there were no bees in America, and the same could be said for Oceania. These insects are an import from the Old Continent, and the history of pre-Columbian and Paleo-Australian civilisations shows that although life without bees would be more difficult for biodiversity, it would not be impossible.
TUTANKHAMUN AND BEES
With regard to the synergy between human beings and bees, it is interesting to note how the latter taught man the technique of mummification. When an animal perceived by the bees to be large (lizards, beetles or mice for example) invades the hive, it is stung to death. However, the carcass is too heavy for the bees to carry out of their habitat, and to protect against prevent possible dangers from decomposition, they cover it with propolis, which being a powerful antibiotic, preserves the invader’s corpse and transforms it into a mummy.
Around 4000 B.C., the Ancient Egyptians discovered this phenomenon, and made use of it for medical purposes. The priests used propolis to mummify the remains of the Pharaohs (propolis has been detected in all Ancient Egyptian mummies, including that of Tutankhamun, which has survived to this day almost intact), while physicians used it to treat infections of the skin and respiratory system, and to cicatrize and disinfect wounds.
BEES IN WINTER
The coming of winter with its cold and reduced daylight hours is also sharply felt by bees, who enter a phase of repose, almost hibernation, during this season. They cling tightly together in the warmest, most sheltered part of the nest, close to the stored honey and pollen, forming the so-called “winter cluster”, which continues until the internal temperature reaches 20-22°C. However, not everyone knows that the bees hatched in winter to get the colony through winter are much longer-lived than those hatched in the summer. While the life span of the latter is around three weeks, the former can live as long as three months. This depends on certain physiological differences that inevitably occur naturally when summer comes to an end. From the time they hatch, “winter” bees are reared with a greater quantity of pollen than that provided for those hatched in spring or summer.
Consequently the hypopharyngeal glands and other “adipose” tissues of most worker bees, which contain protein as well as fat, begin to enlarge as winter approaches. These substances make up food reserves which will be decisive in ensuring the bees have an unusually long lifespan. Finally, through a process known as trophallaxis, bees are able to use their tongues to directly transfer to one another the honey that will serve as fuel to vibrate their flight muscles. (Similarly, colonies of penguins who have to survive temperatures as low as minus 50° also huddle closely together). This is one of the most brilliant examples in nature of how a living being is able to survive absolutely prohibitive conditions through fruitful cooperation with its fellows and the entire ecosystem.
da Brezzo | Nov 21, 2017 | Blog, Idee Alimentari di Qualità
Dopo aver visto come miele e formaggi possano sposarsi per corrispondenza o contrasto, con questo post vogliamo provare a proporre alcuni abbinamenti tra miele, tisane e thè.
Cominciamo da una doverosa premessa. La scienza degli abbinamenti tra miele e infusi è ancora tutta da sviluppare. Esiste poca letteratura in merito e, in generale, si tende a sottovalutare l’apporto aromatico del dolcificante a favore dell’analisi sensoriale data dagli ingredienti della tisana o dalla varietà del thè. Tuttavia, il miele, specie quello monoflorale, possiede caratteristiche distintive e uniche, che lo elevano dal suo semplice “apporto di dolcezza” per renderlo, a tutti gli effetti, un coprotagonista di rispetto.
Naturalmente, tisane e thè avranno la precedenza, in quanto è a partire dalle loro caratteristiche che si sceglierà il miele, componente che, in ogni caso, non dovrà mai sovrastare o coprire profumi e aromi sprigionati dall’infusione.
LIQUIRIZIA E FINOCCHIO
Prendiamo la tisana biologica Brezzo alla liquirizia e finocchio. Si tratta di un infuso corroborante dalle note tipiche dei due ingredienti principali. La liquirizia spicca per le sue note erbacee e quasi piccanti. Perché allora non sottolinearle con qualcosa di balsamico, che esalti le caratteristiche già presenti nell’infuso? Il nostro consiglio è di utilizzare Miele di Eucalipto che, intenso e aromatico, ricorda proprio la liquirizia. Il finocchio infine, profumato e delicato, contribuirà a smorzare e rendere piacevole questo vigoroso connubio.
TIGLIO E ARANCIO
Passiamo alla tisana biologica Brezzo Tiglio e Arancio. Le proprietà rilassanti del tiglio sono state associate alla gradevolezza dell’arancio per ottenere una tisana funzionale e dissetante. Dobbiamo perciò scegliere un miele delicato, che non copra le peculiarità del tiglio e soprattutto, conservi la freschezza della tisana. Consigliamo un miele di ciliegio. Finissimo e leggero, dal piacevole gusto di mandorla, questo miele saprà conservare la piacevolezza dell’infuso.
LIMONE E ZENZERO
Meravigliosamente rinfrescante e corroborante, la tisana biologica Brezzo al limone e zenzero può essere bevuta anche fredda. Consigliamo un miele di Limone o di Arancio, che sottolinea le note agrumate e fa risaltare il gusto leggermente piccante dello zenzero, rendendolo ancora più tonificante.
TISANA DIGESTIVA
La tisana biologica digestiva Brezzo è ottenuta da un mix di erbe, tra le quali la Melissa, la Santoreggia Montana, la Lavanda, il Basilico, la Camomilla Romana e la Verbena Officinalis. Si tratta di erbe dalle proprietà diuretiche e digestive, delicate e profumate, provenienti da campi pedemontani. Quale abbinamento migliore del nostro Miele di Montagna della Valle Maira? Un miele pregiatissimo ottenuto da api portate a bottinare oltre i 1500 metri. Il suo profumo di erbe montane completa quello della tisana e le dona un carattere unico, legato ai profumi e alle fragranze delle nostre incontaminate valli.
Questi sono solo alcuni dei suggerimenti che vogliamo fornirvi. Scoprite la linea delle tisane biologiche Brezzo e divertitevi a creare i vostri abbinamenti preferiti!
Let’s begin with what we know, which in a scientific context is not a lot. The science behind pairing honey and infusions is still to be developed. There is only a little literature of merit on the subject, and in general, it tends to underestimate the aromatic contribution of the natural sweetener to the sensory analysis of the herbal ingredients or the variety of tea. However, honey, especially those made from a single flower, possesses distinctive and unique characteristics that that elevate it from its simple “sweetness” to make it a co-protagonist in flavour.
Naturally, tisanes and teas take precedence as it is from their characteristics that the correct honey is chosen for pairing, which should never overpower the scents and tastes of the infusions.
Let’s begin.
LIQUORICE AND FENNEL
Start with Brezzo’s organic Liquorice and Fennel tisane, which is an infusion that highlights the top notes of both ingredients. The spicy liquorice for its herbal notes and its slight heat, fennel for its sweet anise notes. So then why not use a balsam note to exalt the already present characteristics in the infusion? Our advice is to use the Eucalyptus Honey, which both intense and aromatic, matches well the liquorice flavours. Finally, fragrant and delicate fennel will help soften and make this vigorous blend enjoyable.
LIME AND ORANGE
Moving to Brezzo’s organic Lime and Orange tisane, the relaxing properties of the lime have been paired with the enjoyability of orange for a refreshing, yet functional, infusion. Therefore we need to choose a delicate honey that does not cover the peculiarities of the lime and above all, conserves the freshness of the tea. We recommend a cherry blossom honey. Fine and light with an enjoyable flavour of almonds, this honey knows how to conserve the pleasantness of the infusion.
LEMON AND GINGER
Wonderfully refreshing and invigorating, the organic lemon and ginger tisane from Brezzo can even be enjoyed cold. We advise a honey of lemon or orange, which highlights the citrus notes and makes the lightly spicy taste of the ginger stand out.
DIGESTIVE TISANE
Brezzo’s organic digestive tisane is made from a mix of herbs, including lemon balm, mountain savory, lavender, basil, Roman chamomile, and common verbena. These are all herbs with diuretic and digestive properties, delicate and aromatic, that come from the fields in the foothills. What other than to match it with our Mountain Honey from the Maira Valley? A precious honey obtained from bees who collect from blooms over 1500 metres. The honey’s mountain herbal scents completes those of the tisane and lends it a unique characteristic, bound to the scents and fragrances of our unspoilt valleys.
These are just some of our suggestions we wanted to share. Discover Brezzo’s line of organic tisanes and have fun creating your own favourite pairings!
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da Brezzo | Lug 26, 2017 | Apicoltura, Blog, Cultura, Miele
Continua la nostra storia del miele. Da unico e prezioso dolcificante dell’età antica a comprimario dello zucchero, il miele ha dovuto reinventarsi, aumentando la propria qualità e valorizzando le sue caratteristiche di prodotto territoriale.
Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, anche il miele visse il suo particolare “Medioevo”: se da un lato esso veniva ancora considerato un alimento prezioso e ricercato, dall’altro dovette affrontare un periodo di crisi, derivato dal fatto che il lavoro apistico non subì per secoli nessuna innovazione di sorta. Nel millennio che va dal V al XV secolo, l’unico documento politico rinvenuto inerente al miele è il Capitolare de Villis emanato nel 759 da Carlo Magno secondo il quale chiunque avesse un podere doveva tenere anche api e preparare miele e idromele; chi fosse stato sorpreso a rubare miele coltivato era punibile con multe di varie entità, chi invece avesse trovato un favo abbandonato ne diventava proprietario.
Il Medioevo considerava il miele un bene prezioso, con pene e sanzioni per chi lo rubava o tralasciava di allevare le api di un proprio podere
RINASCIMENTO DI DOLCEZZA
Presso le aristocrazie europee del periodo rinascimentale, in termini di gusto, la dolcificazione, ignorata nell’Età di Mezzo che preferiva concentrarsi sulle spezie piccanti, divenne una vera e propria moda. Si preparavano intingoli dai sapori ibridi, che pervadevano l’intera sequenza delle portate di un pasto, divenuto, per arditezza di afrori e ricchezza di colori, un evento spettacolare, destinato a stupire più che a nutrire.
I sapori originari dei cibi venivano pressoché coperti e solo nel XVI secolo si arrivò a una separazione dei gusti, rinviando il dolce alla fine del banchetto. Il miele continuò ad essere utilizzato in medicina, soprattutto nell’ambito delle scienze galeniche, secondo le quali il corpo umano è costituito di un insieme di umori a cui sono associate le qualità fondamentali di caldo, freddo, secco e umido, che ciascuno deve tenere in equilibrio: al miele venivano attribuite la caratteristiche del caldo e del secco, adatte, per contrasto, a persone dal segno zodiacale d’acqua.
Secondo la filosofia galenica (dal medico e filosofo Galeno, 129-201 d.C.) i segni d’acqua assiderati dalle qualità del freddo e dell’umido e di temperamento flemmatico, dovevano ricercare alimenti caldo-secchi: carne di vitello, cacciagione, formaggi stagionati, pesce salato, cipolle, carote, castagne, noci, frutta secca, miele, abbinati a vini bianchi frizzanti.
L’AVVENTO DELLO ZUCCHERO
Nell’Età Moderna si assistette ad un’importante evoluzione dell’apicoltura in termini sia scientifici che tecnici. Premessa di tutto ciò fu la migliore conoscenza della vita e della struttura delle api: nel 1586 lo spagnolo Luis Mendez de Torres parlò per la prima volta di vertice gerarchico dell’alveare con a capo un’ape femmina e ovificatrice; pochi anni dopo gli inglesi Charles Butler e Richard Remnant dimostrarono rispettivamente che i fuchi erano maschi e le api operaie femmine. Proprio in questa fase storica, però, il miele dovette subire la concorrenza di un “nemico” formidabile, lo zucchero.
Dalla fine del Seicento ai primi dell’Ottocento venne sviluppata nelle isole caraibiche la coltivazione della canna da zucchero, mentre in Europa fu sperimentata la barbabietola. Lo zucchero divenne di uso comune solo in pieno Settecento e da quel momento iniziò un’espansione che portò la sua produzione ad aumentare di 20 volte tra il 1850 e il 1950. In termini di prezzo lo zucchero, inizialmente più caro (nella Pianura Padana ancora al momento dell’Unità d’Italia l’«oro bianco» costava più del miele), divenne di gran lunga più economico e ciò favorì il suo sviluppo presso le classi popolari. Anche la politica si inserì in questo contesto eco-gastronomico: nel 1806 infatti Napoleone mise in atto il blocco continentale contro l’Inghilterra, principale esportatrice di zucchero di canna. Ma il bisogno del “nuovo” dolcificante, come già accennato, cresceva a vista d’occhio e per supplirvi si dovette ricercare un’alternativa alla canna da zucchero: la barbabietola, appunto.
VERSO LA RAZIONALIZZAZIONE DELL’ALVEARE
Per il miele sembrava dover iniziare un periodo di marginalizzazione. Se non voleva scomparire del tutto, esso doveva puntare sulle sue intrinseche qualità, basata su tre punti essenziali: 1) un prezzo concorrenziale; 2) un sapore ancora più buono e caratteristico; 3) l’utilizzo di una tecnica di produzione più efficiente. Si fece promotore di queste istanze l’avvocato Luigi Savani, che nel 1811 scrisse un trattato dal titolo Modo per conservare le api e per estrarre il miele senza ucciderle in cui propose un’apicoltura semi-razionale che rinunciasse alla pratica dell’apicidio e producesse un miele di maggiore qualità tramite “castrazione”, cioè il prelevamento selettivo dall’alveare di favi contenti solo miele.
In questa direzione si mossero alla fine dell’Ottocento il maggiore Von Hruska e l’abate Collin, i quali idearono due invenzioni che permisero di produrre un miele sempre più pulito e libero da sostanze e sapori estranei: il primo creò lo smielatore, che permetteva di estrarre il miele senza distruggere i favi; il secondo perfezionò l’escludiregina, una griglia che, consentendo il passaggio delle api ma non della più voluminosa regina, permetteva di produrre miele in una sezione dell’alveare, evitando che nei favi riservati allo stoccaggio del miele da parte delle api fosse anche presente covata.
DAL MIELE AI MIELI
Nel Novecento si sviluppa una maggiore attenzione alla provenienza botanica dei mieli: gli importanti studi di alcuni pionieri melliflui – tra cui l’instancabile Don Giacomo Angeleri (Gamalero 1877 – Reaglie 1957), fondatore della Federazione Apistica Piemontese e autore presso al rivista L’apicoltore moderno – permisero di mettere in atto negli anni Settanta una caratterizzazione dei mieli uniflorali, con le prime analisi melissopalinologiche (origine geografica e botanica del miele), l’esplorazione e la quantificazione dei granuli pollinici rimasti come residuo in un miele, per dimostrarne la provenienza. Da questo momento in poi non si può più parlare di miele ma di “mieli”. Oggi solo in Italia ne esistono più di 50 tipi: si va da quello di acacia (il più utilizzato) a quello di arancio, da quello d’eucalipto a quello «millefiori», dal miele di sulla, a quello di corbezzolo, di eucalipto, di girasole, di tarassaco, di limone, di mandarino, di rododendro, di tiglio, di rosmarino e di moltissimi altre piante e fiori.
Brezzo produce 22 varietà di miele italiano, valorizzando e tutelando l’enorme patrimonio apistico del nostro Paese.
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da Brezzo | Lug 26, 2017 | Apicoltura, Blog, Cultura, Miele
Vi racconteremo una dolcissima quanto affascinante storia: quella del miele. Conosciuto fin dalla preistoria, il miele era il più prezioso – perché unico – dolcificante dell’epoca antica. Utilizzato come corroborante e unguento da Egizi e Babilonesi, tra i Greci divenne «cibo degli dei».
Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 a 10 milioni di anni – l’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!
Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 ai 10 milioni di anni. L’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!
IL BASTONE E LA BIBBIA
Già nella Preistoria si conosceva la bontà del miele: i nostri antichissimi progenitori erano soliti procurarselo intingendo un bastone nei nidi d’ape dentro i tronchi degli alberi e tra le rocce. Fonte insospettabile di questa modalità di procacciamento è la Bibbia: nel I libro di Samuele si legge infatti che Gionata, figlio del re Saul, «allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono» (I Sam. 14,27). Una prima testimonianza artistica di questa ricerca del miele ci viene offerta da un dipinto, databile intorno al 7000 a.C., eseguito sulla parete di una grotta sita a Cueva de la Aragna (Spagna orientale): in tale pittura rupestre si nota una figura umana, arrampicatasi fino al nido d’api tramite delle liane, nell’atto di prendere con una mano dei favi di miele mentre nell’altra tiene un contenitore da trasporto.
LA NASCITA DELL’APICOLTURA E LA LUNA DI MIELE
Il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà ebbe come conseguenza l’abbandono di questi sistemi primitivi di procacciamento e la nascita dell’apicoltura. Pare che i primi a sviluppare questa pratica furono – intorno al 3000 a.C. – gli Egizi, i quali usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe o vasi ricolmi di miele per il loro viaggio nell’Aldilà (alcuni di questi recipienti sono stati recentemente rinvenuti durante gli scavi ancora perfettamente conservati).
Dalla decifrazione dei geroglifici risulta che le ricette a base di miele erano impiegate non solo ad uso alimentare ma anche medico, per la cura di disturbi digestivi e per la produzione di unguenti per piaghe e ferite.
L’espressione “luna di miele” nacque in questi anni remoti, probabilmente da usanze babilonesi. Il popolo mesopotamico definiva in questo modo il mese successivo al matrimonio di una coppia: in tale periodo il padre della sposa aveva l’obbligo di rifornire il genero del liquido dorato affinché egli si ristorasse e fosse aiutato nelle “fatiche amorose”. D’altronde anche la medicina ayurvedica, già nel 2700 a.C. circa, considerava il miele non solo dolcificante ma anche purificante, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico, cicatrizzante e, appunto, afrodisiaco.
IL CIBO DEGLI DEI
Nella Grecia antica il culto per l’ambrosia, il “cibo degli dei”, portò a un forte interesse verso il comportamento delle api, il cui allevamento veniva di solito affidato a uno schiavo esperto in materia chiamato melitouros. Scrissero di miele e apicoltura scrittori come Omero (che narra la raccolta del miele selvatico), Pitagora (che considerava il miele un elisir di lunga vita) e Aristotele (che descrive minuziosamente il comportamento delle api).
Le conoscenze elleniche in materia furono ereditate dai Romani. Anche presso la civiltà latina possiamo riscontrare un forte interesse verso il miele, visto che i più grandi autori del periodo hanno trattato l’argomento (tra questi Virgilio nel IV libro delle Georgiche e Plinio il Vecchio nella sua Storia naturale). Anche nella romanità il lavoro apistico era affidato a schiavi “eruditi”, gli apiarii, che con la loro competenza garantivano un reddito elevato ai loro padroni.
I Romani importavano grandi quantitativi di miele da Creta, Cipro, Spagna e soprattutto Malta; da quest’ultima pare anche derivare il nome originale Meilat, appunto «terra del miele».
da Brezzo | Lug 13, 2017 | Blog, Cultura, Miele
Neanche il padre della letteratura italiana fu immune al fascino di questi piccoli volatili. Nella Divina Commedia, più precisamente nel XXI canto del Paradiso, Dante Alighieri paragona il tripudio degli angeli presenti nella Candida Rosa (luogo dove risiedono i beati del Paradiso) con una straordinaria metafora apistica, ricca di movimento e di meraviglia:
Sì come schiera d’api che s’infiora
una fiata e una si ritorna
là dove il suo laboro s’insapora.
LE API VIZIOSE
Nel XVI secolo il miele venne soppiantato dallo zucchero di canna, più facile da conservare e dal sapore “esotico”: l’interesse letterario per le api andò scemando. Ma il ‘700, attraversato da profonde riflessioni socio-politiche e morali, riscoprì le api in chiave simbolica.
Si può citare come esempio il poemetto satirico La favola delle api, scritto nel 1705 dal medico e filosofo olandese Bernard de Mandeville. Il sottotitolo del saggio, Vizi privati e pubbliche virtù, esplicita la critica che l’autore muove alla società in cui vive, ormai avviata allo sviluppo industriale. Secondo lo spirito libertario e libertino dell’autore, i vizi privati sostentano le virtù pubbliche, proprio come fanno le api nell’alveare. Ciascuna lavora – per istinto (quindi per vizio) ad un lavoro particolare, che armonizzato produce il miracolo del miele. Gli uomini, conclude il filosofo, dovrebbero dunque non vergognarsi di avere dei vizi, perché sono dotazioni naturali che non contraddicono i bisogni della comunità.
LE API OPERAIE
Un rimando alla laboriosità dell’ape non poteva di certo mancare nell’opera di Karl Marx, filosofo tedesco e primo teorico del comunismo. Nella terza sezione del primo de Il Capitale (1867) egli vuole chiarire in che modo il lavoro degli animali sia diverso da quello degli esseri umani e per farlo utilizza l’esempio dell’ape. Pur costruendo degli alveoli perfetti, che non temono il confronto con più di un’opera architettonica umana, anche l’ape più abile si distingue dal peggiore degli architetti poiché quest’ultimo ha costruito la sua opera nella sua testa prima che nella materia concreta. Il processo lavorativo umano approda quindi a un risultato che già preesiste idealmente nel cervello del lavoratore. Egli, a differenza degli insetti, non opera soltanto un cambiamento di forma nelle materie naturali, ma vi realizza nello stesso tempo il suo scopo; scopo di cui egli ha coscienza, che determina come legge il suo modo d’azione e al quale subordina la sua volontà.
Una curiosità di “genere”. Fino al Settecento si pensava che al comando delle api stesse un «Re», un’ape di sesso maschile che rispecchiava il diritto prevalentemente maschile di esercitare il potere sovrano.
L’APE POETICA
Tra i poeti contemporanei che amarono l’ape ci fu Emily Dickinson, poetessa statunitense vissuta nella seconda metà dell’800. Lo spirito lirico e romantico della Dickinson vede nell’ape il mistero della primavera, che risveglia nello spirito il desiderio di vita e di bellezza.
Nel nome dell’Ape –
E della Farfalla –
E della Brezza – Amen!
L’APE FEMMINISTA
La scoperta del matriarcato delle api è una conquista del XVII secolo. Da allora l’ape ha prodotto una messe di nuovi spunti letterari. Come in Sylvia Plath (1932-1963), tormentata poetessa di Boston il cui padre era entomologo. Nella poesia La riunione delle api, l’alveare diventa il simbolo della società femminile asservita a quella patriarcale, che irrompe con la violenza del predatore a rubare il miele e a violare il segreto di un mondo totalmente diverso da quello maschile:
Il bianco alveare, compatto come una vergine, occlude
La sua fecondità, il suo miele, brusisce quieto.
Fumo si spande e serpeggia nella radura.
La mente dell’alveare pensa che questa è la fine.
IN DIFESA DELLE API
La recente e drammatica condizione delle api, la cui popolazione sta drammaticamente diminuendo, con conseguenze catastrofiche per l’ecosistema mondiale (ricordate la celebra frase di Einstein, «se l’ape scomparisse dalla terra, all’umanità resterebbero quattro anni di vita»), ha portato l’ape a rivestire un nuovo ruolo simbolico. Quella di guardiana dell’ambiente, un essere i cui atteggiamenti, pur guidati da istinti naturali, sono orientati alla tutela del futuro del mondo. Ecco che l’ape, dopo essere stata simbolo dell’operosità, della comunità, della condizione operaia e femminile, diventa entità qualitativamente superiore a quella umana, perché dotata di una perfezione che preserva la natura e non la distrugge. Un esempio ironico e pungente di questa nuova visione si trova nel libro di Franco Marcoaldi, Animali in versi (Einaudi, 2006), in cui il protagonista, un «rubicondo apicoltore», non può far altro che ammettere la netta supremazia degli insetti:
Il mio vicino di casa
è un apicoltore rubizzo
e bonario, un fanciullo
che racconta novelle.
Del matematico mondo
delle api mi parla da anni,
eppure ogni volta lo ascolto
incantato, come quando sostiene
che ciascun alveare
è la prova palmare
della netta supremazia degli insetti.
«Meniamo gran vanto delle nostre città:
ma citami uno, tra mille architetti,
in grado di fare non un muro che sale,
ma un muro che scende. Senza tanto
strillare, le anonime api
lo fanno da sempre. Attaccate
al soffitto raggiungono il suolo
rimanendo sospese al proprio cantiere
e prive di metro, filo a piombo
e compasso, disegnano esagoni
di misure perfette, garantendo
in tal modo – nel minimo spazio –
il massimo numero di uguali cellette».