Vi racconteremo una dolcissima quanto affascinante storia: quella del miele. Conosciuto fin dalla preistoria, il miele era il più prezioso – perché unico – dolcificante dell’epoca antica. Utilizzato come corroborante e unguento da Egizi e Babilonesi, tra i Greci divenne «cibo degli dei».
Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 a 10 milioni di anni – l’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!
Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 ai 10 milioni di anni. L’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!
IL BASTONE E LA BIBBIA
Già nella Preistoria si conosceva la bontà del miele: i nostri antichissimi progenitori erano soliti procurarselo intingendo un bastone nei nidi d’ape dentro i tronchi degli alberi e tra le rocce. Fonte insospettabile di questa modalità di procacciamento è la Bibbia: nel I libro di Samuele si legge infatti che Gionata, figlio del re Saul, «allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono» (I Sam. 14,27). Una prima testimonianza artistica di questa ricerca del miele ci viene offerta da un dipinto, databile intorno al 7000 a.C., eseguito sulla parete di una grotta sita a Cueva de la Aragna (Spagna orientale): in tale pittura rupestre si nota una figura umana, arrampicatasi fino al nido d’api tramite delle liane, nell’atto di prendere con una mano dei favi di miele mentre nell’altra tiene un contenitore da trasporto.
LA NASCITA DELL’APICOLTURA E LA LUNA DI MIELE
Il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà ebbe come conseguenza l’abbandono di questi sistemi primitivi di procacciamento e la nascita dell’apicoltura. Pare che i primi a sviluppare questa pratica furono – intorno al 3000 a.C. – gli Egizi, i quali usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe o vasi ricolmi di miele per il loro viaggio nell’Aldilà (alcuni di questi recipienti sono stati recentemente rinvenuti durante gli scavi ancora perfettamente conservati).
Dalla decifrazione dei geroglifici risulta che le ricette a base di miele erano impiegate non solo ad uso alimentare ma anche medico, per la cura di disturbi digestivi e per la produzione di unguenti per piaghe e ferite.
L’espressione “luna di miele” nacque in questi anni remoti, probabilmente da usanze babilonesi. Il popolo mesopotamico definiva in questo modo il mese successivo al matrimonio di una coppia: in tale periodo il padre della sposa aveva l’obbligo di rifornire il genero del liquido dorato affinché egli si ristorasse e fosse aiutato nelle “fatiche amorose”. D’altronde anche la medicina ayurvedica, già nel 2700 a.C. circa, considerava il miele non solo dolcificante ma anche purificante, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico, cicatrizzante e, appunto, afrodisiaco.
IL CIBO DEGLI DEI
Nella Grecia antica il culto per l’ambrosia, il “cibo degli dei”, portò a un forte interesse verso il comportamento delle api, il cui allevamento veniva di solito affidato a uno schiavo esperto in materia chiamato melitouros. Scrissero di miele e apicoltura scrittori come Omero (che narra la raccolta del miele selvatico), Pitagora (che considerava il miele un elisir di lunga vita) e Aristotele (che descrive minuziosamente il comportamento delle api).
Le conoscenze elleniche in materia furono ereditate dai Romani. Anche presso la civiltà latina possiamo riscontrare un forte interesse verso il miele, visto che i più grandi autori del periodo hanno trattato l’argomento (tra questi Virgilio nel IV libro delle Georgiche e Plinio il Vecchio nella sua Storia naturale). Anche nella romanità il lavoro apistico era affidato a schiavi “eruditi”, gli apiarii, che con la loro competenza garantivano un reddito elevato ai loro padroni.
I Romani importavano grandi quantitativi di miele da Creta, Cipro, Spagna e soprattutto Malta; da quest’ultima pare anche derivare il nome originale Meilat, appunto «terra del miele».
Neanche il padre della letteratura italiana fu immune al fascino di questi piccoli volatili. Nella Divina Commedia, più precisamente nel XXI canto del Paradiso, Dante Alighieri paragona il tripudio degli angeli presenti nella Candida Rosa (luogo dove risiedono i beati del Paradiso) con una straordinaria metafora apistica, ricca di movimento e di meraviglia:
Sì come schiera d’api che s’infiora
una fiata e una si ritorna
là dove il suo laboro s’insapora.
LE API VIZIOSE
Nel XVI secolo il miele venne soppiantato dallo zucchero di canna, più facile da conservare e dal sapore “esotico”: l’interesse letterario per le api andò scemando. Ma il ‘700, attraversato da profonde riflessioni socio-politiche e morali, riscoprì le api in chiave simbolica.
Si può citare come esempio il poemetto satirico La favola delle api, scritto nel 1705 dal medico e filosofo olandese Bernard de Mandeville. Il sottotitolo del saggio, Vizi privati e pubbliche virtù, esplicita la critica che l’autore muove alla società in cui vive, ormai avviata allo sviluppo industriale. Secondo lo spirito libertario e libertino dell’autore, i vizi privati sostentano le virtù pubbliche, proprio come fanno le api nell’alveare. Ciascuna lavora – per istinto (quindi per vizio) ad un lavoro particolare, che armonizzato produce il miracolo del miele. Gli uomini, conclude il filosofo, dovrebbero dunque non vergognarsi di avere dei vizi, perché sono dotazioni naturali che non contraddicono i bisogni della comunità.
LE API OPERAIE
Un rimando alla laboriosità dell’ape non poteva di certo mancare nell’opera di Karl Marx, filosofo tedesco e primo teorico del comunismo. Nella terza sezione del primo de Il Capitale (1867) egli vuole chiarire in che modo il lavoro degli animali sia diverso da quello degli esseri umani e per farlo utilizza l’esempio dell’ape. Pur costruendo degli alveoli perfetti, che non temono il confronto con più di un’opera architettonica umana, anche l’ape più abile si distingue dal peggiore degli architetti poiché quest’ultimo ha costruito la sua opera nella sua testa prima che nella materia concreta. Il processo lavorativo umano approda quindi a un risultato che già preesiste idealmente nel cervello del lavoratore. Egli, a differenza degli insetti, non opera soltanto un cambiamento di forma nelle materie naturali, ma vi realizza nello stesso tempo il suo scopo; scopo di cui egli ha coscienza, che determina come legge il suo modo d’azione e al quale subordina la sua volontà.
Una curiosità di “genere”. Fino al Settecento si pensava che al comando delle api stesse un «Re», un’ape di sesso maschile che rispecchiava il diritto prevalentemente maschile di esercitare il potere sovrano.
L’APE POETICA
Tra i poeti contemporanei che amarono l’ape ci fu EmilyDickinson, poetessa statunitense vissuta nella seconda metà dell’800. Lo spirito lirico e romantico della Dickinson vede nell’ape il mistero della primavera, che risveglia nello spirito il desiderio di vita e di bellezza.
Nel nome dell’Ape –
E della Farfalla –
E della Brezza – Amen!
L’APE FEMMINISTA
La scoperta del matriarcato delle api è una conquista del XVII secolo. Da allora l’ape ha prodotto una messe di nuovi spunti letterari. Come in Sylvia Plath (1932-1963), tormentata poetessa di Boston il cui padre era entomologo. Nella poesia La riunione delle api, l’alveare diventa il simbolo della società femminile asservita a quella patriarcale, che irrompe con la violenza del predatore a rubare il miele e a violare il segreto di un mondo totalmente diverso da quello maschile:
Il bianco alveare, compatto come una vergine, occlude
La sua fecondità, il suo miele, brusisce quieto.
Fumo si spande e serpeggia nella radura.
La mente dell’alveare pensa che questa è la fine.
IN DIFESA DELLE API
La recente e drammatica condizione delle api, la cui popolazione sta drammaticamente diminuendo, con conseguenze catastrofiche per l’ecosistema mondiale (ricordate la celebra frase di Einstein, «se l’ape scomparisse dalla terra, all’umanità resterebbero quattro anni di vita»), ha portato l’ape a rivestire un nuovo ruolo simbolico. Quella di guardiana dell’ambiente, un essere i cui atteggiamenti, pur guidati da istinti naturali, sono orientati alla tutela del futuro del mondo. Ecco che l’ape, dopo essere stata simbolo dell’operosità, della comunità, della condizione operaia e femminile, diventa entità qualitativamente superiore a quella umana, perché dotata di una perfezione che preserva la natura e non la distrugge. Un esempio ironico e pungente di questa nuova visione si trova nel libro di Franco Marcoaldi, Animali in versi (Einaudi, 2006), in cui il protagonista, un «rubicondo apicoltore», non può far altro che ammettere la netta supremazia degli insetti:
Il mio vicino di casa
è un apicoltore rubizzo
e bonario, un fanciullo
che racconta novelle.
Del matematico mondo
delle api mi parla da anni,
eppure ogni volta lo ascolto
incantato, come quando sostiene
che ciascun alveare
è la prova palmare
della netta supremazia degli insetti.
«Meniamo gran vanto delle nostre città:
ma citami uno, tra mille architetti,
in grado di fare non un muro che sale,
ma un muro che scende. Senza tanto
strillare, le anonime api
lo fanno da sempre. Attaccate
al soffitto raggiungono il suolo
rimanendo sospese al proprio cantiere
e prive di metro, filo a piombo
e compasso, disegnano esagoni
di misure perfette, garantendo
in tal modo – nel minimo spazio –
il massimo numero di uguali cellette».
Fin dall’età classica le api rappresentarono uno stimolo importante per intellettuali e artisti, che le hanno sovente immortalate nei loro lavori o utilizzate come oggetto di paragone. I motivi di questo interesse vanno ricercati nella laboriosità di questi insetti, nella loro ordinata ed efficiente struttura socio-lavorativa e, soprattutto, nella grande considerazione che hanno sempre ricevuto per la produzione del miele, uno dei rarissimi dolcificanti disponibili, nonché – assieme alla propoli – rimedio curativo per eccellenza. Non pochi nel mondo antico attribuirono alle api il ruolo di animale sacro e considerarono i suoi prodotti doni celesti, diretta elargizione divina.
In epoca remota, si riteneva che il miele venisse giù dal cielo come la rugiada e si posasse sulle foglie e sui fiori, da dove le api lo raccoglievano, mentre si pensava che la cera stilasse direttamente dalle piante
LE API DI OMERO
All’interno della cultura occidentale, le testimonianze letterarie più remote delle api sono quelle rintracciabili nei poemi omerici, che contengono ampie tracce di miti e tradizioni arcaiche anche antecedenti all’Iliade e all’Odissea. In queste opere l’ape – protagonista del tempo e delle metamorfosi – è assunta in prevalenza come simbolo alla sfera cosmica e religiosa, di alternanza tra nascita, morte e rigenerazione.
Nell’Iliade compare anche un aspetto sociale ed esemplare delle api, insetti che non abbandonano la casa e, sostenendo l’assalto dei cacciatori, combattono per i figli:
«…come api maculose in erti
Nidi nascoste, a chi dà lor la caccia
S’avventano feroci, e per le cave
Case e pe’ figli battagliar le vedi»
LA DONNA MELISSA
Curioso è invece l’uso metaforico che fece dell’ape il poeta giambico Semonide, vissuto a Samo tra il VII e VI secolo a.C. Accanto alle immagini più tradizionali dell’ape come essere laborioso che si trovano, ad esempio nelle opere di Callimaco, Semonide, nella sua Satira individua dieci tipi di donne che vengono paragonate, in virtù del loro aspetto caratteriale prevalente, ad un esponente del mondo animale. Solo una categoria di donne è positiva, “da sposare”: quella più avvezza alle domestiche virtù, cioè quella che Zeus creò dall’ape, ossia la donnaMelissa, vero angelo del focolare che non ama perdersi in chiacchiere e in discorsi lascivi.
LE API POLITICHE DEI ROMANI
Anche il mondo intellettuale romano non fu immune da simili echeggiamenti: nelle Naturalis Historia, Plinio il Vecchio narra che un ronzio di prima mattina, simile allo squillo di una tromba, dà la sveglia alla colonia ed un altro la sera ne decreta il riposo. Ecco che l’alveare si trasforma in modello politico per la società degli uomini in cui viene esaltata la vita comunitaria consacrata all’obbedienza alle leggi e la ferrea divisione dei compiti e la diligente operosità ottenuta anche grazie alla virtù della castità.
«Dobbiamo imitare le api che svolazzano qua e là e suggono i fiori adatti a fare il miele […] distinguere quello che abbiamo ricavato dalle diverse letture […]. Fondere poi, in un unico sapore, valendoci della capacità e della diligenza della nostra mente, i vari assaggi, così che, anche se ne è chiara la derivazione, appaiano tuttavia diversi dalla fonte».
Seneca
LE API IMMUNI ALL’AMORE
Quest’ultimo tema, quello della verginità, lo possiamo ritrovare nel IV libro delle Georgiche: qui le api – modello quasi divino di saggezza – appaiono immuni all’Eros poiché non costrette a riprodursi sessualmente, fedeli alla «domus» e alle sue leggi, disposte al sacrificio e devote al loro sovrano. Così le api costituiscono per Virgilio un esempio perfetto di organizzazione comunitaria ordinata e armonica: essa poteva rappresentare l’ideale «res publica» arcaica, la quale aveva come suo unico compito quello di mantenere il bene comune.
Marmellata, composta o confettura? Questo è il problema. Vi siete mai chiesti quali sono le differenze mentre scegliete il vostro vasetto preferito? In questo post cerchiamo fare chiarezza, seguiteci!
POUR MARIE MALADE, LA MARMELLATA
Leggenda vuole che Maria de Medici, andata in sposa al francese Enrico IV, fu colpita da una grave carenza di vitamine. La corte si mobilitò in suo soccorso ordinando che i migliori agrumi di Sicilia giungessero alla sua tavola. Già, ma come conservarli durante un viaggio che poteva durare settimane? I cuochi italiani trovarono un sistema. Recuperando antiche tradizioni greche, che addensavano gli zuccheri della frutta bollendola e aggiungendo miele (conservante naturale per eccellenza – vedi il nostro post COME SI FA IL MIELE?), preparano dolcissime marmellate di agrumi che chiudevano in casse contrassegnate con la frase «pour Maire malade», per Maria ammalata. Il termine, entrato nell’uso volgare si contrasse in «marimalade», da cui «marmelade».
IL MELE DI MIELE
La vera etimologia di marmellata deriverebbe dal portoghese marmelo, originatosi dal latino melimelium sul calco greco μελίμηλον («melimelon», ovvero «mela di miele»). Con questo si indicava una dolcissima mela, ovvero la mela cotogna che, come si legge nei ricettari antichi, veniva fatta bollire per ottenere salse dal gusto inebriante e stucchevole. In realtà non si aggiungeva miele, perché, con la cottura, la mela cotogna trasforma la sua polpa dura e immangiabile in una salsa dolcissima, con spiccati profumi di miele.
Solo agrumi
Questa finta e divertente etimologia, svela in realtà la natura della marmellata: un concentrato semisolido di agrumi e zucchero. La normativa, come previsto dal decreto attuativo del 2004, ha stabilito che solo ed esclusivamente gli agrumi possono essere ridotti a marmellata, quindi occhio a come utilizzate il termine! Le marmellate, molto apprezzate nei paesi anglosassoni, si preparano con agrumi tagliati a pezzetti e cotti a lungo nello zucchero, fino a raggiungere una consistenza cremosa, con parti di buccia e polpa in sospensione.
Una curiosità
Per legge il quantitativo minimo di frutta utilizzato dev’essere del 20%, quello proveniente dall’endocarpo, ovvero dagli spicchi, deve essere almeno il 7,5%.
LA CONFETTURA
La confettura nacque con la scoperta della canna da zucchero. Il temine deriva dal francese confiture, cioè «confettare», «ricoprire di zucchero». Il miele venne progressivamente abbandonato nella creazione delle marmellate, in favore di altri dolcificanti come lo zucchero di canna e lo zucchero bianco.
La raccolta delle pesche
Normale o extra?
La legislazione europea in materia suddivide la confettura in due categorie: confettura e confetturaextra. Per la confettura si possono utilizzare polpa e/o purea di una o più specie di frutta in quantità minima di 350 grammi su 1 kg di prodotto finito, il 35%. Se invece si utilizza solo ed esclusivamente polpa non concentrata di frutta con un minimo di 450 grammi per chilo (45%), allora si parla di confettura «extra».
CONFETTURE BREZZO, UN CONCENTRATO DI FRUTTA PURA
Se la legge prevede frutta minima per il 35%, le confetture Brezzo sono ottenute con il 120% di frutta garantita. Per ogni kg delle nostre confetture vengono cioè impiegati un chilo e 200 grammi di frutta fresca, cotta delicatamente (vedi sotto) e lasciata in pezzi. Utilizziamo solo zucchero di canna, il cui sapore esalta gli aromi e i sentori della frutta fresca.
LA COMPOSTA
La composta si differenzia dalla confettura per essere una salsa di frutta frullata e omogenea. Le composte risultano facili da spalmare, ideali per i ripieni dei dolci e per preparare torte e crostate.
C’è a chi piace speziata
La storia della composta si perde nella notte dei tempi. È però probabile che risalga alla Roma antica dove, per conservare la frutta, veniva immersa in un mix di vino passito, vin cotto, mosto, miele e spezie. Anche oggi la composta può contenere diversi tipi di frutta e spezie, come la nostra COMPOSTA DI MELE E ZENZERO, l’avete mai assaggiata?
LE COMPOSTE DI BREZZO, BIOLOGICHE E SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI
Le nostre composte sono un concentrato di frutta da agricoltura biologica certificata dall’ente Bioagricert. Vengono realizzate senza zuccheri aggiunti, ovvero solo con gli zuccheri naturalmente presenti nella frutta: sono dunque ideali per diete a basso contenuto calorico e prive di saccarosio.
QUALITÀ BREZZO
Tutte le marmellate, le composte e le idee a sono realizzate a partire dalla migliore frutta, selezionata da fornitori di fiducia. Grazie all’impiego di una tecnologia di cottura sottovuoto, le temperature di lavorazione non salgono mai sopra i 60 gradi centigradi, garantendo un pieno rispetto della materia prima, che preserva le vitamine, i colori e gli aromi della frutta appena raccolta.
Un’ampia scelta!
Le marmellate, le composte e le confetture Brezzo si trovano in molti gusti e formati diversi. Tra le composte più particolari, segnaliamo quelle di Bacche di Goji (il superfrutto dalle molteplici proprietà fitoterapiche); di mela e zenzero (spezia conosciuta per le caratteristiche antinfiammatorie); di ciliegie visciole (dolci e succose); di mirtilli, di pesche e di albicocche tutti da coltivazione biologica. Tra le confetture e le marmellate quella di mandarini e arance di Sicilia; la marronata (confettura di marroni); e alcune ricette particolari come pesca amaretti e cacao o pera e limone.
La raccolta di mieli primaverili è quasi conclusa. Un’annata davvero particolare, dove il caldo anomalo di marzo e dei primi giorni di aprile è stato bruscamente interrotto da improvvise gelate e cattivo tempo, che hanno fermato le fioriture e la produzione di miele.
Una questione di clima, ma non solo. Abbiamo intervistato Fabio e AndreaBrezzo che ci hanno fornito un quadro dettagliato della situazione.
Con la fine dell’inverno e la primavera in fioritura, le api iniziano a bottinare. Quali sono le prime fioriture a cui le api si rivolgono?
Le prime fioriture dell’anno nel Basso Piemonte sono quella del tarassaco, del ciliegio e del melo. Essendo queste fioriture contemporanee l’abilità dell’apicoltore è quella di posizionare i propri alveari in un’area dove ci sia una fioritura prevalente ed una relativa assenza delle altre, in modo da evitare che le api vadano a bottinare su tutti e tre i fiori e riuscire dunque a produrre un miele monoflorale.
Ci potete fornire un piccolo calendario con la raccolta dei mieli primaverili?
Occorre divedere per zone. In Piemonte come detto le prime fioriture sono quelle del tarassaco, del ciliegio e del melo. Quest’anno avendo fatto un mese di marzo e un inizio di aprile molto caldo le fioriture sono state anticipate e sono iniziate già i primi giorni di aprile. A metà dello stesso mese (con due settimane di anticipo rispetto alle annate normali) è fiorita l’acacia che quasi dappertutto rappresenta il raccolto principale. Contemporaneamente in Puglia, in Calabria e in Sicilia è iniziata la fioritura degli agrumeti e quindi la produzione di miele di arancio, limone e mandarino. Dopo un paio di settimane in alcune zone del Centro e Sud Italia c’è la raccolta del miele di sulla.
Arnie ubicate nei pressi di una fioritura di tarassaco
E di quelli estivi?
Intorno ad inizio giugno in Piemonte sarà la volta del castagno e del tiglio e, dopo qualche settimana sposteremo le nostre api in alta montagna (Valle Maira, nel Cuneese) per produrre il miele di montagna di rododendro e la melata di abete. Più o meno contemporaneamente a queste fioriture in pianura ci sarà la raccolta del girasole, del coriandolo e del trifoglio. Ad inizio luglio i campi inizierà la raccolta del miele di lavanda. A metà luglio in Calabria ed in Sicilia c’è la raccolta del miele di Eucalipto. Tornando in Piemonte, le api che scendono dalla montagna verso inizio agosto sono pronte a raccogliere e produrre la melata di bosco nella zona del Roero e del Monferrato. In queste zone la melata di bosco si protrae fino a fine agosto rappresenta l’ultima raccolta dell’anno. A settembre in Sicilia e soprattutto Calabria fiorisce un tipo particolare di Eucalipto (Eucalyptus Occidentalis) da cui si produce miele. Per l’ultimo miele prodotto in Italia occorre aspettare novembre quando in Sardegna si raccoglie il raro e pregiato miele di corbezzolo.
Quali sono le operazioni di apicoltura che si eseguono in questo periodo?
Terminata la raccolta dell’acacia, in questi giorni è in corso la smielatura (l’estrazione del miele dai telaini). Contemporaneamente l’apicoltore deve controllare le scorte di miele negli alveari in modo da preparare le api per i prossimi spostamenti.
Come sta andando la raccolta?
La raccolta è iniziata abbastanza bene sulle prime fioriture (tarassaco e ciliegio), favorite dal clima caldo. Purtroppo appena si sono iniziati a vedere i primi boccioli di acacia fioriti il clima è drasticamente cambiato.
Quali problemi si sono riscontrati?
Una forte perturbazione proveniente dal Nord Europa ha portato freddo, vento e pioggia. In quasi tutta Italia si è assistito (fenomeno assolutamente inusuale per il periodo) a gelate notturne che hanno compromesso la fioritura e quindi la raccolta. Purtroppo il maltempo è continuato per tutto il periodo della fioritura e la produzione di miele di acacia è stata praticamente nulla. In alcune zone addirittura in piena fioritura si è dovuti intervenire a portare del nutrimento agli alveari affamati in quanto pur circondati da fiori stavano morendo di fame avendo finito le scorte. In assenza di certe condizioni di temperatura e umidità i fiori non rilasciano nettare e le api non possono bottinare. Quello che fa ulteriore rabbia è che, appena terminata la fioritura, il tempo è finalmente virato verso il bello. Ora speriamo che le fioriture estive non riservino brutte sorprese.
Quali cause sono alla base di una diminuzione della produzione?
È un dato di fatto ormai incontrovertibile che si sta producendo meno miele rispetto al passato. Ci sono diverse cause alla base di ciò. In alcune zone ci sono stati problemi legati all’utilizzo di fitofarmaci e diserbanti (in particolare del glifosato) in agricoltura che hanno causato avvelenamento di api e conseguenti spopolamenti. È questo un tema molto importante di cui per fortuna si sta iniziando a parlare su vasta scala e si sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica. A nostro avviso però la causa principale delle scarse produzioni degli ultimi anni è però l’ormai evidente cambiamento climatico che si sta verificando in maniera sempre più netta, in particolare in primavera ed inizio estate. Gli inverni sono meno freddi e lasciano spazio a primavere dal clima molto variabile e instabile in cui a settimane di caldo “fuori stagione” seguono settimane di freddo e vento. Il tepore invernale fa sì che la campagna e le fioriture siano anticipate, ancora più stimolate dalle improvvise e fugaci ondate di caldo. Purtroppo però il freddo è destinato a tornare e lo fa quando è più dannoso ovvero quando gli alberi sono già in fiore.
Il 2016 è stato definito un anno nero per le api. Come sarà il 2017? Si possono fare previsioni?
Il 2016 a detta di tutti è stato l’annus horribilis per l’apicoltura italiana e, sinceramente, si pensava di aver toccato il fondo. Purtroppo dalle prime indicazioni il 2017, almeno al Centro Nord, sembra essere iniziato in maniera ancora peggiore. La raccolta del miele di acacia, che per gli apicoltori rappresenta la maggior fonte del reddito, è stata più che disastrosa, è stata nulla. Questo causerà diversi problemi. Infatti oltre all’assenza del prodotto comporterà anche problemi agli alveari che si stanno indebolendo e arriveranno quindi con meno scorte e meno pronti per le prossime fioriture.
Ci sono rischi di contraffazione o frodi?
In periodi di scarsità di raccolto è bene prestare attenzione al prezzo, indicatore importante. Un miele d’acacia molto economico può rivelare che la materia prima è stata acquistata all’estero, o miscelata con quella autoctona. L’etichetta del miele è comunque parlante. Se compare la dicitura ITALIANO – come per i nostri mieli prodotti in Piemonte, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia Sardegna – per legge il miele deve provenire dal nostro Paese. È una scelta di serietà e trasparenza che tutela, prima di tutto, il consumatore e il suo diritto ad essere informato correttamente.
Abbiamo un nuovo canale digitale per comunicare direttamente con voi. Una maniera innovativa per creare un’informazione a «Km0». Dal produttore al consumatore vi racconteremo la passione che ci guida a fare il lavoro che più amiamo!
Un blog è come un diario.Ma un diario pubblico, partecipato. Come nel più classico dei diari intimi si annotano pezzi di vita, riflessioni, notizie, opinioni. Ma essendo rivolto direttamente ai lettori, chiamandoli in causa, è possibile usare le sue pagine per comunicare ricerche, conquiste o informazioni utili. Per sua stessa natura, un diario come il blog contiene argomenti differenti, uniti però dalla voglia di comunicare uno stile, un’idea, ciò che si fa e il modo in cui lo si fa. Insomma, quello che si è.
Abbiamo deciso di aprire un blog per comunicare.E farlo in maniera nuova. Ci sono moltissimi blog personali, ma sono ancora pochi quelli aziendali. Vorremmo creare un luogo aperto a tutti, un piccolo punto di riferimento per chi conosce o vuole conoscere Brezzo e i suoi prodotti in maniera immediata. Non filtrata da altri, direttamente dal produttore al consumatore.
Una sorta di «km0» dell’informazioneche vorrebbe restituire la stessa autenticità e le stesse emozioni che molti dei nostri clienti ritrovano nei nostri prodotti.
Di cosa parlerà questo blog?
Di apicoltura e di miele, perché sono il DNA della nostra azienda. Ma non solo. Parleremo del miele e del suo contesto, del mondo che ruota attorno alle api e al loro preziosissimo dono, ancora oggi misterioso e troppo sottovalutato. Parleremo delle idee alimentari di qualità: le specialità che la nostra famiglia, ormai dalla fine degli anni ’80 ad oggi ha confezionato per rispondere alle nuove esigenze di consumo, attente alla territorialità, alla tipicità e all’unicità dei prodotti offerti, senza mai venire meno alla qualità e al rispetto dell’ambiente e delle materie prime.
Parleremo anche di storie del miele, di tradizioni e di un territorio, quello del Roero, che è diventato Patrimonio dell’Umanità UNESCO grazie a caratteristiche straordinarie, ancora tutte da scoprire.
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