Come si fa il miele?

Come si fa il miele?

Il miele è una delle esperienze gustative più autentiche che vi possano capitare: la natura ce lo regala così come verrà gustato. In questo post vi spieghiamo come Brezzo porta il miele dalle arnie alla tavola rispettando la sua “perfezione naturale”

Il miele è un alimento che nasce perfetto. Lungo tutto il suo ciclo produttivo, subisce poche o nulle manipolazioni, sia nella fase di produzione, affidata alle api, sia in quella di raccolta, filtrazione e invasettamento. Perché si possa gustare così «naturale», il miele richiede un profondo rispetto verso le sue produttrici, le api, e verso la materia prima, che deve essere accompagnata al consumo attraverso lavorazioni delicate e attente a non alterarne le caratteristiche organolettiche e il rapporto con il territorio, di cui si fa espressione.

IL FRUTTO DI UN DIFFICILE EQUILIBRIO La produzione di miele richiede la combinazione ideale di più fattori. Il clima, le api e i fiori devono interagire perfettamente tra di loro affinché sia possibile una buona raccolta. Non è infatti sufficiente che ci siano i fiori perché le api possano produrre miele, ma servono anche le giuste condizioni di temperatura e umidità che permettano ai fiori di rilasciare il loro nettare. E’ un equilibrio sottile e difficile da ottenere, soprattutto in questi ultimi anni dove purtroppo sono in corso evidenti cambiamenti climatici.

Come produciamo il nostro miele? Ve lo raccontiamo in pochi, semplici passaggi.

IL NETTARE DELLA NATURA

Il miele non esiste in natura, è il prodotto del faticoso lavoro delle api, il loro capolavoro. La sua materia prima è duplice:

  1. Il nettare – non il polline – dei fiori. Le api bottinatrici (ovvero le raccoglitrici) suggono la sostanza viscosa e zuccherina prodotta dagli organi ghiandolari dei fiori, e la trattengono all’interno del loro corpo.
  2. La melata. Sostanza zuccherinaprodotta dal metabolismo di afidi e altri piccoli insetti che si nutrono della linfa delle piante. Le api raccolgono la melata da rami e foglie dove viene depositata, in ambienti in cui è scarsa la produzione di nettare, come i boschi. La melata, sebbene diversa dal miele di nettare, è da considerarsi un miele a tutti gli effetti.
Le api bottinatrici di un’arnia possono trasportare fino a 5 kg di nettare al giorno, visitando oltre 200 mila fiori. Ogni ape può percorrere anche 40 km in un aggio di 3 km: per riempire la sua sacca melaria visita oltre 150 fiori

CI VUOLE STOMACO

Una volta raccolto il nettare o la melata, la prima trasformazione avviene all’interno dell’ape, nella sacca melaria, posta nell’addome. Il nettare si è mischiato alla saliva della bottinatrice arricchendosi di enzimi che hanno la proprietà di scindere il saccarosio in glucosio e fruttosio: il miele comincia a formarsi nello stomaco delle api! 

IL MIELE VENTILATO

Le bottinatrici depongono il nettare nelle famose celle esagonali dell’alveare, costruite in cera, che fungono da dispensa e vengono chiamate favi. Qui avviene un’operazione assai curiosa. Api ventilatrici sbattono le ali per asciugare e far maturare il miele, sottraendo acqua e permettendogli una conservazione prolungata. Ci vuole circa un mese perché il miele raggiunga il giusto grado di maturazione. A questo punto, le api operaie lo sigillano con un sottile strato di cera.

Il miele non ha bisogno di conservanti perché le api lo hanno già pensato come scorta di cibo a lunghissima conservazione! 

UN FURTO GENTILE

Compito dell’apicoltore è quello di perpetrare un … furto. Ma con delicatezza e attenzione. Al termine della fioritura va ad estrarre il miele, ma non lo prende tutto. “Ruba” soltanto la parte in eccedenza, quella contenuta nel melario (la parte superiore dell’alveare). Le scorte, contenute nel nido, non vengono mai intaccate perché servono alle api per il loro nutrimento. Con un apposito strumento il miele viene disopercolato, si toglie cioè il sottile strato di cera che sigilla le celle. Il miele è pronto a fluire.

GIRA LA SMIELATURA

A questo punto i favi disopercolati vengono posti in cilindri rotanti che, grazie alla sola forza centrifuga, estraggono il miele.

DECANTAZIONE, AL CONTRARIO

Il miele non ha bisogno di alcun intervento chimico o di tipo termico. Viene filtrato e convogliato in contenitori di acciaio dove riposa e si purifica tramite decantazione per affioramento. In superfice emergono le bolle d’aria createsi durante la smielatura e salgono tutte le impurità. Il miele, più pesante, si deposita sul fondo.

INVASETTAMENTO

Il miele ormai maturo e libero da tutte le impurità può essere avviato all’invasettamento. In tutto il processo la materia prima non viene mai alterata chimicamente, né termicamente, ma procede dall’arnia al contenitore finale attraverso soli processi meccanici e di filtrazione.

Per evitare di pompare il miele, i nostri decantatori sono posti al piano inferiore rispetto agli smielatori: un passaggio che evita manipolazioni e alterazioni, mantenendo una maggiore purezza

NIENTE INSEMINAZIONI NÉ PASTORIZZAZIONI

Non operiamo nessuna inseminazione del miele, ovvero non misceliamo miele di diversa natura per ottenere cristallizzazioni più uniformi. Questo snaturerebbe la genuinità del prodotto, slegandolo dalla sua componente territoriale. Il miele di Brezzo non subisce pastorizzazione. Non viene sottoposto cioè a temperature elevate al fine di renderlo più liquido al momento dell’invasettamento.

La pastorizzazione del miele facilita la lavorazione e rende il miele liquido, esteticamente fluido. Ma altera la sua genuinità: fa sì che la parte viva del miele (gli enzimi titolari degli effetti benefici del miele stesso) vengano distrutti.

[:en]

Honey is one of the most authentic taste experiences that exists: nature in its pure form, exactly how it should be savored. Here, we’ll explain how Brezzo brings honey to your table, respecting its natural perfection.

Honey is born perfect. During its production cycle, it undergoes very few manipulations (or none at all), from production by bees to harvest, filtering, and packaging. Honey deserves a deep respect in terms of its producers, the bees, and towards the product itself, which should be gathered and consumed with attention and care so as not to alter its natural characteristics and rapport with the territory that it expresses.

FRUIT OF A DIFFICULT BALANCE The production of honey requires the ideal combination of numerous factors. The climate, bees, and flowers must interact perfectly for a good harvest. It’s not sufficient that there are just flowers for bees to make honey, but there must also be the right temperature and humidity conditions that allow the flowers to produce nectar. The balance is delicate and difficult to obtain, especially in these past few years in which, unfortunately, climate change is disrupting the balance.

How do we produce our honey? We’ll tell you in a few simple steps.

NATURE’S NECTAR

Honey is the masterpiece of bees, and it has two primary ingredients:

  1. The nectar – not the pollen – of flowers. The forager bees ingest this viscous, sugary substance from the flower’s glandular organs.
  2. The honeydew. This sugary secretion is produced by small insects that feed on plant sap. Bees collect the honeydew from stems and leaves where it has been deposited in areas where nectar is scarce, like in forests.
Forager bees can transport up to 5 kg of nectar in one day, visiting over 200,000 flowers. Each bee can also travel 40 km in a 3 km range, visiting over 150 flowers to fill its pollen basket, or corbicula.

FROM THE FLOWER TO THE STOMACH

Once the nectar or honeydew is collected, the first transformation of the material happens within the bee in its stomach. The nectar mixes with the bee’s saliva, which enriches it with enzymes that turn sucrose into glucose and fructose. Honey begins its transformation in the stomach of bees!

DRYING THE HONEY

The foragers deposit the nectar in the hexagonal wax cells of their hive, which serve as storage areas and together form the honeycomb. Here, a very interesting process takes place. The bees flap their wings to dry out the honey, evaporating water and allowing for longer conservation. This process takes about a month until the honey reaches the right degree of water content. At this point, the worker bees seal it in the wax cells, called “capping.”

Honey doesn’t need conservatives because the bees already treat it as a long-term food supply!

A CAREFUL BURGLARY

The apiculturist’s work is to pull off, essentially, a burglary. But this is done with gentleness and great care, and not all the honey is extracted. Only the excess honey is “stolen,” that which is contained in the supers (the upper section of the hive). The stored honey in the hive is never touched, because it provides nutrients and replenishment for the bees. Using a special tool, the cells are uncapped and the honey can be extracted.

ROUND AND ROUND

At this point, the extracted hive is put in a rotating cylinder that extracts the honey via centrifuge.

THE OPPOSITE OF DECANTING

Honey has no need of chemicals or temperature interventions. It is filtered and gathered in stainless steel containers where it rests and purifies via a type of decantation. Air bubbles that were created during the centrifuge rise to the surface, with all impurities. The pure honey is heavier, and so remains on the bottom.

JARRING

The honey, free of impurities, can now be jarred. During the entire production process, the honey is never altered chemically or thermally, but goes from the hive to the jar using only mechanical means.

To avoid pumping the honey, our decanters are located one level lower than the extractors, avoiding manipulations and alterations to maintain purity.

NO ADDITIONS OR PASTEURIZATION

We add no additional honey to the original, which some do to obtain uniform crystallization. This would spoil the genuineness of the product and disconnect it from its territory. Brezzo honey is also not pasteurized. It is never subjected to high temperatures to liquify it to help with jarring.

Pasteurization makes the honey more fluid and thus easier to jar, but it alters its authenticity, destroying the living components of the honey (the enzymes, which carry beneficial properties).
Tutti i segreti dell’Ape Regina, la più importante della sua specie

Tutti i segreti dell’Ape Regina, la più importante della sua specie

Senza di lei non esisterebbe l’alveare. Non ci sarebbero il miele, il polline e la pappa reale. In definitiva, non ci sarebbero le api, non nella forma in cui le conosciamo.

Lei è l’ape regina, fondamento di ogni famiglia, unica ape feconda, capace di deporre quantità impressionanti di uova per garantire la sopravvivenza della sua stirpe e, all’occorrenza, spostare le colonie verso una nuova casa.

Seguiteci e scoprite tutti i segreti della regina, l’ape più importante dell’alveare.

Come nasce una Regina?

La regina è l’ape più grande, la più longeva è l’unica feconda, capace cioè di generare una nuova colonia, o «famiglia». Queste differenze sono il frutto di un’alimentazione speciale. Dopo la deposizione dell’uovo, le operarie svezzano le larve reali per circa 15 giorni con la pappa reale, che sarà l’unico alimento della regina per tutta la vita. Dopo questo periodo la regina può uscire dalla sua cella, anch’essa speciale: non è infatti posta in orizzontale, ma in verticale e ha le fattezze di un’arachide.

La lotta per il trono

Una colonia può allevare fino a 30 «principesse», dette «regine vergini». Quando le api percepiscono che la reggente non è più in grado di svolgere il suo ruolo, devono assicurare la la sopravvivenza della colonia. Costruiscono allora le celle reali per far nascere una nuove regine. Quando le «regine vergini» si schiudono, ciascuna compete per il proprio regno fino a che ne rimane in vita una sola. A volte accade che una vergine, nata prima delle altre, uccida le “sorelle” mentre sono ancora nella loro cella. Se più vergini vengono alla luce contemporaneamente, tutte meno una abbandonano l’alveare seguite da un gruppo di “fedelissime” (sciamatura). Accade questo perché nell’alveare può rimanere una sola regina.

Il canto della regina

Nel momento in cui vengono alla luce (o addirittura mentre sono ancora nella loro cella reale), le «regine vergini» cominciano a emettere un particolare stridìo, simile al suono di una trombetta. È il «canto della regina» e si pensa abbia diversi scopi.

  • È un «peana di guerra» per mettere sull’attenti tutte le pretendenti al trono e cominciare la lotta per il sopravvento.
  • È un «orazione politica» per procacciarsi i consensi delle api della colonia, al fine di farsi eleggere nuova regina.
  • È una «serenata» per i fuchi – ovvero i maschi delle api – per farsi seguire, fecondare e dare origine ad una nuova famiglia.
  • È un segnale di partenza, che la regina vergine in procinto di sciamare emette per ritardare la nascita di altre vergini (in questo caso le operaie inibiscono le altre vergini nelle loro celle, aggiungendo strati di cera per impedirne la fuoriuscita) 

Potere al popolo

Per quanto l’ape regina sia in grado di influenzare il comportamento delle sue operaie grazie  alla produzione di feromoni, l’alveare è un super-organismo, ovvero una forma di collettività in cui le decisioni sono prese attraverso una specie di maggioranza “senziente”. Quando questa maggioranza percepisce la fine di una regina, fa di tutto per agevolare un cambio al vertice deponendo uova nelle celle reali. Caso limite è la sciamatura in cui le operaie agiscono “democraticamente”: si crede infatti che singolarmente o a piccoli gruppi possano decidere di seguire la vecchia regina pronta al distacco, o restare con la nuova che garantirà la sopravvivenza della famiglia.

Nutrice e assassina

Al contrario di quello delle operaie, dentellato e irregolare, il pungiglione della regina è liscio. Il suo scopo è duplice: quando è gravida, la regina lo utilizza per deporre le uova, come fosse una pipetta; in caso di combattimento, invece, il pungiglione diventa un affilato stiletto, pronto a trafiggere le rivali.

Il volo nuziale

Una regina può deporre fino a 2 mila uova al giorno, 250 mila l’anno per un massimo di 5 anni di vita. Per poterle fecondare accumula il seme dei fuchi all’interno del suo addome, rilasciandolo gradualmente. L’accoppiamento non può certo essere quotidiano, ma avviene una sola volta, nel periodo del volo nuziale. La regina vergine si solleva in aria seguita dalla «cometa di fuchi», un nugolo composto da un centinaio di maschi. L’accoppiamento multiplo fornirà alla regina il materiale genetico per gli anni a venire fino a che, esauritosi, darà vita a uova non fecondate, che produrranno solo api maschio. È la cosiddetta «regina fucaiola» che, se individuata dalle operaie, verrà prontamente sostituita.

Nutrita e riverita

L’unico scopo della regina è continuare la specie. Non deve preoccuparsi di nulla: viene seguita da uno sciame di ancelle che la puliscono, la nutrono e la difendono, assistendola in ogni esigenza. Ma la regina è gelosissima del suo ruolo: mentre le api operaie la riveriscono, lei rilascia il feromone reale, un potente inibitore degli organi sessuali che ha la funzione di renderle sterili.

[:en]

Without the Queen Bee, a hive would not exist. There would be no honey, pollen or royal jelly. There wouldn’t even be bees, at least not as we know them. 

She reigns supreme, the foundation of the hive and the head of the family, the true queen bee. She lays large quantities of eggs to ensure the hive’s continued survival and will force the colony to migrate if necessary. The hive revolves around her.

We have seven secrets of the queen bee, the most important bee in any hive.

How is the Queen born?

The queen is the largest bee in the hive, the one who lives the longest and is the sole reproducer in a hive, all thanks to a special diet. After the queen lays her eggs, of which some will be unfertilized and become male drones and others will be fertilized and either become workers or virgin queens dependent on diet, the worker bees feed all the royal larvae a diet of only royal jelly for 15 days. Royal jelly is the only thing a Queen Bee eats throughout her life. After this period, the queen emerges from her cell, which is itself unique to the regular hexagonal shape. It lays horizontally in the shape of a peanut.

The struggle for the throne

A hive can breed up to 30 ‘princess’ bees, which are truly called virgin queens in order to ensure their survival. In fact, when worker bees sense that their current queen can no longer lay eggs, they will begin building up royal cells and feeding more fertilized larvae to ensure the birth of a new queen. When more than one virgin queen is hatched, they will fight to the death. The winning virgin queen will ensure her dominance by destroying any other royal cells that may still be unhatched. If a hive becomes too large, the old queen will leave with a ‘swarm’ of faithful workers and half the hives reserves to create a new colony.

The queen’s song

When the virgin queens emerge from their cells (and even sometimes when they are near emerging), they begin emitting a high-pitched buzzing called piping that sounds similar to a trumpet. It is the “queen’s song” and is thought to have a few different purposes:

  • A “war call” that signals their location so that all ‘pretenders to the throne’ may come and fight the queen,
  • A “political campaign” to obtain the consensus of the worker bees to be regarded as their new queen,
  • A “serenade” to the drone male bees so that they will find the queen for her nuptial flight,
  • A “warning” that the virgin queen will leave on her nuptial flight and that the workers must prevent the emergence of other virgin queens by adding more layers of wax on top of their cells.

Power to the people

Although the queen is able to influence the behaviour of all the bees in the hive thanks through her pheromones, the hive functions as a type of ‘super-organism’ that thinks collectively. It is called eusocial and means that the bees make decisions for the collective of the hive through a kind of ‘sentient’ majority. When this majority senses the near-end of an old queen, they will do everything in their power to ensure their survival by feeding more larvae with royal jelly to create virgin queens.  The only limitation on this group think is in the case of swarming. Worker bees will act ‘democratically’ and choose either individually or in small groups to leave with the old queen or remain with the new one to ensure the continued survival of the hive.

Nurse and assassin 

Contrary to the workers, which have notched and irregular stings, the queen’s is smooth. This is for two reasons: when she is pregnant it functions as a pipette to lay eggs and when she is in combat, the sting is like a sharp knife, ready to pierce rivals.

The nuptial flight

A queen bee is capable of laying up to 2000 eggs a day, 250 000 per year, for a maximum of 5 years. To do this, she accumulates the semen from mating drones in her belly, only releasing it by choice when laying eggs. Mating does not occur daily. In fact, it only happens once in what is called the nuptial flight. When a virgin queen emerges, she will leave the hive followed by a swarm of drones (male bees) who will compete to mate with her in flight. She will mate with multiple drones, collecting enough genetic diversity from their semen to lay eggs throughout her lifetime. The queen can sense when worker or drone bees need to be laid and selectively chooses to fertilize (worker larvae) eggs or leave them unfertilized (drone larvae) when laying. The queen is the only bee that can truly reproduce in a hive. Rarely there are laying worker bees, that only produce drones, and if detected are promptly replaced in the hive.

Nourished and revered

The queen has a single purpose: to reproduce. She doesn’t even need to think about the basic necessities of survival. A small swarm of maiden bees follows her constantly, cleaning her and feeding her, nurturing her and defending her to the death. However, the queen is a jealous queen. She releases a royal pheromone that is a powerful inhibitor of the sexual organs in the worker bees in order to ensure their sterility.

Miele, the e tisane: alcune proposte di abbinamento

Miele, the e tisane: alcune proposte di abbinamento

Dopo aver visto come miele e formaggi possano sposarsi per corrispondenza o contrasto, con questo post vogliamo provare a proporre alcuni abbinamenti tra miele, tisane e thè.

Cominciamo da una doverosa premessa. La scienza degli abbinamenti tra miele e infusi è ancora tutta da sviluppare. Esiste poca letteratura in merito e, in generale, si tende a sottovalutare l’apporto aromatico del dolcificante a favore dell’analisi sensoriale data dagli ingredienti della tisana o dalla varietà del thè. Tuttavia, il miele, specie quello monoflorale, possiede caratteristiche distintive e uniche, che lo elevano dal suo semplice “apporto di dolcezza” per renderlo, a tutti gli effetti, un coprotagonista di rispetto.

Naturalmente, tisane e thè avranno la precedenza, in quanto è a partire dalle loro caratteristiche che si sceglierà il miele, componente che, in ogni caso, non dovrà mai sovrastare o coprire profumi e aromi sprigionati dall’infusione.

LIQUIRIZIA E FINOCCHIO

Prendiamo la tisana biologica Brezzo alla liquirizia e finocchio. Si tratta di un infuso corroborante dalle note tipiche dei due ingredienti principali. La liquirizia spicca per le sue note erbacee e quasi piccanti. Perché allora non sottolinearle con qualcosa di balsamico, che esalti le caratteristiche già presenti nell’infuso? Il nostro consiglio è di utilizzare Miele di Eucalipto che, intenso e aromatico, ricorda proprio la liquirizia. Il finocchio infine, profumato e delicato, contribuirà a smorzare e rendere piacevole questo vigoroso connubio.

TIGLIO E ARANCIO

Passiamo alla tisana biologica Brezzo Tiglio e Arancio. Le proprietà rilassanti del tiglio sono state associate alla gradevolezza dell’arancio per ottenere una tisana funzionale e dissetante. Dobbiamo perciò scegliere un miele delicato, che non copra le peculiarità del tiglio e soprattutto, conservi la freschezza della tisana. Consigliamo un miele di ciliegio. Finissimo e leggero, dal piacevole gusto di mandorla, questo miele saprà conservare la piacevolezza dell’infuso.

LIMONE E ZENZERO

Meravigliosamente rinfrescante e corroborante, la tisana biologica Brezzo al limone e zenzero può essere bevuta anche fredda. Consigliamo un miele di Limone o di Arancio, che sottolinea le note agrumate e fa risaltare il gusto leggermente piccante dello zenzero, rendendolo ancora più tonificante.

TISANA DIGESTIVA

La tisana biologica digestiva Brezzo è ottenuta da un mix di erbe, tra le quali la Melissa, la Santoreggia Montana, la Lavanda, il Basilico, la Camomilla Romana e la Verbena Officinalis. Si tratta di erbe dalle proprietà diuretiche e digestive, delicate e profumate, provenienti da campi pedemontani. Quale abbinamento migliore del nostro Miele di Montagna della Valle Maira? Un miele pregiatissimo ottenuto da api portate a bottinare oltre i 1500 metri. Il suo profumo di erbe montane completa quello della tisana e le dona un carattere unico, legato ai profumi e alle fragranze delle nostre incontaminate valli.

Questi sono solo alcuni dei suggerimenti che vogliamo fornirvi. Scoprite la linea delle tisane biologiche Brezzo e divertitevi a creare i vostri abbinamenti preferiti!

After seeing how honey and cheese can be married in a pairing of harmony or of contrast, this article explores a few pairing propositions between honey, tea and tisanes.

Let’s begin with what we know, which in a scientific context is not a lot. The science behind pairing honey and infusions is still to be developed. There is only a little literature of merit on the subject, and in general, it tends to underestimate the aromatic contribution of the natural sweetener to the sensory analysis of the herbal ingredients or the variety of tea. However, honey, especially those made from a single flower, possesses distinctive and unique characteristics that that elevate it from its simple “sweetness” to make it a co-protagonist in flavour.

Naturally, tisanes and teas take precedence as it is from their characteristics that the correct honey is chosen for pairing, which should never overpower the scents and tastes of the infusions.

Let’s begin.

LIQUORICE AND FENNEL

Start with Brezzo’s organic Liquorice and Fennel tisane, which is an infusion that highlights the top notes of both ingredients. The spicy liquorice for its herbal notes and its slight heat, fennel for its sweet anise notes. So then why not use a balsam note to exalt the already present characteristics in the infusion? Our advice is to use the Eucalyptus Honey, which both intense and aromatic, matches well the liquorice flavours. Finally, fragrant and delicate fennel will help soften and make this vigorous blend enjoyable.

LIME AND ORANGE

Moving to Brezzo’s organic Lime and Orange tisane, the relaxing properties of the lime have been paired with the enjoyability of orange for a refreshing, yet functional, infusion. Therefore we need to choose a delicate honey that does not cover the peculiarities of the lime and above all, conserves the freshness of the tea. We recommend a cherry blossom honey. Fine and light with an enjoyable flavour of almonds, this honey knows how to conserve the pleasantness of the infusion.

LEMON AND GINGER

Wonderfully refreshing and invigorating, the organic lemon and ginger tisane from Brezzo can even be enjoyed cold. We advise a honey of lemon or orange, which highlights the citrus notes and makes the lightly spicy taste of the ginger stand out.

DIGESTIVE TISANE

Brezzo’s organic digestive tisane is made from a mix of herbs, including lemon balm, mountain savory, lavender, basil, Roman chamomile, and common verbena. These are all herbs with diuretic and digestive properties, delicate and aromatic, that come from the fields in the foothills. What other than to match it with our Mountain Honey from the Maira Valley? A precious honey obtained from bees who collect from blooms over 1500 metres. The honey’s mountain herbal scents completes those of the tisane and lends it a unique characteristic, bound to the scents and fragrances of our unspoilt valleys.

These are just some of our suggestions we wanted to share. Discover Brezzo’s line of organic tisanes and have fun creating your own favourite pairings!

[:]

Storia del Miele, dal Medioevo ai mieli uniflorali

Storia del Miele, dal Medioevo ai mieli uniflorali

Continua la nostra storia del miele. Da unico e prezioso dolcificante dell’età antica a comprimario dello zucchero, il miele ha dovuto reinventarsi, aumentando la propria qualità e valorizzando le sue caratteristiche di prodotto territoriale.

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, anche il miele visse il suo particolare “Medioevo”: se da un lato esso veniva ancora considerato un alimento prezioso e ricercato, dall’altro dovette affrontare un periodo di crisi, derivato dal fatto che il lavoro apistico non subì per secoli nessuna innovazione di sorta. Nel millennio che va dal V al XV secolo, l’unico documento politico rinvenuto inerente al miele è il Capitolare de Villis emanato nel 759 da Carlo Magno secondo il quale chiunque avesse un podere doveva tenere anche api e preparare miele e idromele; chi fosse stato sorpreso a rubare miele coltivato era punibile con multe di varie entità, chi invece avesse trovato un favo abbandonato ne diventava proprietario.

Il Medioevo considerava il miele un bene prezioso, con pene e sanzioni per chi lo rubava o tralasciava di allevare le api di un proprio podere

RINASCIMENTO DI DOLCEZZA

Presso le aristocrazie europee del periodo rinascimentale, in termini di gusto, la dolcificazione, ignorata nell’Età di Mezzo che preferiva concentrarsi sulle spezie piccanti, divenne una vera e propria moda. Si preparavano intingoli dai sapori ibridi, che pervadevano l’intera sequenza delle portate di un pasto, divenuto, per arditezza di afrori e ricchezza di colori, un evento spettacolare, destinato a stupire più che a nutrire.

I sapori originari dei cibi venivano pressoché coperti e solo nel XVI secolo si arrivò a una separazione dei gusti, rinviando il dolce alla fine del banchetto. Il miele continuò ad essere utilizzato in medicina, soprattutto nell’ambito delle scienze galeniche, secondo le quali il corpo umano è costituito di un insieme di umori a cui sono associate le qualità fondamentali di caldo, freddo, secco e umido, che ciascuno deve tenere in equilibrio: al miele venivano attribuite la caratteristiche del caldo e del secco, adatte, per contrasto, a persone dal segno zodiacale d’acqua.

Secondo la filosofia galenica (dal medico e filosofo Galeno, 129-201 d.C.) i segni d’acqua assiderati dalle qualità del freddo e dell’umido e di temperamento flemmatico, dovevano ricercare alimenti caldo-secchi: carne di vitello, cacciagione, formaggi stagionati, pesce salato, cipolle, carote, castagne, noci, frutta secca, miele, abbinati a vini bianchi frizzanti.

L’AVVENTO DELLO ZUCCHERO

Nell’Età Moderna si assistette ad un’importante evoluzione dell’apicoltura in termini sia scientifici che tecnici. Premessa di tutto ciò fu la migliore conoscenza della vita e della struttura delle api: nel 1586 lo spagnolo Luis Mendez de Torres parlò per la prima volta di vertice gerarchico dell’alveare con a capo un’ape femmina e ovificatrice; pochi anni dopo gli inglesi Charles Butler e Richard Remnant dimostrarono rispettivamente che i fuchi erano maschi e le api operaie femmine. Proprio in questa fase storica, però, il miele dovette subire la concorrenza di un “nemico” formidabile, lo zucchero.

Dalla fine del Seicento ai primi dell’Ottocento venne sviluppata nelle isole caraibiche la coltivazione della canna da zucchero, mentre in Europa fu sperimentata la barbabietola. Lo zucchero divenne di uso comune solo in pieno Settecento e da quel momento iniziò un’espansione che portò la sua produzione ad aumentare di 20 volte tra il 1850 e il 1950. In termini di prezzo lo zucchero, inizialmente più caro (nella Pianura Padana ancora al momento dell’Unità d’Italia l’«oro bianco» costava più del miele), divenne di gran lunga più economico e ciò favorì il suo sviluppo presso le classi popolari. Anche la politica si inserì in questo contesto eco-gastronomico: nel 1806 infatti Napoleone mise in atto il blocco continentale contro l’Inghilterra, principale esportatrice di zucchero di canna. Ma il bisogno del “nuovo” dolcificante, come già accennato, cresceva a vista d’occhio e per supplirvi si dovette ricercare un’alternativa alla canna da zucchero: la barbabietola, appunto.

VERSO LA RAZIONALIZZAZIONE DELL’ALVEARE

Per il miele sembrava dover iniziare un periodo di marginalizzazione. Se non voleva scomparire del tutto, esso doveva puntare sulle sue intrinseche qualità, basata su tre punti essenziali: 1) un prezzo concorrenziale; 2) un sapore ancora più buono e caratteristico; 3) l’utilizzo di una tecnica di produzione più efficiente. Si fece promotore di queste istanze l’avvocato Luigi Savani, che nel 1811 scrisse un trattato dal titolo Modo per conservare le api e per estrarre il miele senza ucciderle in cui propose un’apicoltura semi-razionale che rinunciasse alla pratica dell’apicidio e producesse un miele di maggiore qualità tramite “castrazione”, cioè il prelevamento selettivo dall’alveare di favi contenti solo miele.

In questa direzione si mossero alla fine dell’Ottocento il maggiore Von Hruska e l’abate Collin, i quali idearono due invenzioni che permisero di produrre un miele sempre più pulito e libero da sostanze e sapori estranei: il primo creò lo smielatore, che permetteva di estrarre il miele senza distruggere i favi; il secondo perfezionò l’escludiregina, una griglia che, consentendo il passaggio delle api ma non della più voluminosa regina, permetteva di produrre miele in una sezione dell’alveare, evitando che nei favi riservati allo stoccaggio del miele da parte delle api fosse anche presente covata.

DAL MIELE AI MIELI

Nel Novecento si sviluppa una maggiore attenzione alla provenienza botanica dei mieli: gli importanti studi di alcuni pionieri melliflui – tra cui l’instancabile Don Giacomo Angeleri (Gamalero 1877 – Reaglie 1957), fondatore della Federazione Apistica Piemontese e autore presso al rivista L’apicoltore moderno – permisero di mettere in atto negli anni Settanta una caratterizzazione dei mieli uniflorali, con le prime analisi melissopalinologiche (origine geografica e botanica del miele), l’esplorazione e la quantificazione dei granuli pollinici rimasti come residuo in un miele, per dimostrarne la provenienza. Da questo momento in poi non si può più parlare di miele ma di “mieli”. Oggi solo in Italia ne esistono più di 50 tipi: si va da quello di acacia (il più utilizzato) a quello di arancio, da quello d’eucalipto a quello «millefiori», dal miele di sulla, a quello di corbezzolo, di eucalipto, di girasole, di tarassaco, di limone, di mandarino, di rododendro, di tiglio, di rosmarino e di moltissimi altre piante e fiori.

Brezzo produce 22 varietà di miele italiano, valorizzando e tutelando l’enorme patrimonio apistico del nostro Paese.

Scopri tutti i mieli Brezzo e scegli il tuo preferito!

Storia del Miele, dalla Preistoria alla Grecia Antica

Storia del Miele, dalla Preistoria alla Grecia Antica

Vi racconteremo una dolcissima quanto affascinante storia: quella del miele. Conosciuto fin dalla preistoria, il miele era il più prezioso – perché unico – dolcificante dell’epoca antica. Utilizzato come corroborante e unguento da Egizi e Babilonesi, tra i Greci divenne «cibo degli dei».

Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 a 10 milioni di anni – l’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!

Anche se la parola «miele» sembra derivare dall’ittita melit, la storia di questo celebre dolcificante è molto più antica di quella dell’omonima popolazione indoeuropea che abitò l’Asia Minore nel II millennio a.C. La presenza di piante che producono nettare e polline è documentata tra i 100 e 150 milioni di anni, mentre le prime api compaiono sulla Terra fra i 50 e i 25 milioni di anni fa. Non sono ancora però le api sociali, – cioè le api che agiscono come organismo collettivo – che, secondo gli studi, avrebbero un’età che va dai 20 ai 10 milioni di anni. L’essere umano, a titolo di paragone, fa la sua comparsa sulla Terra solo un milione di anni fa!

IL BASTONE E LA BIBBIA

Già nella Preistoria si conosceva la bontà del miele: i nostri antichissimi progenitori erano soliti procurarselo intingendo un bastone nei nidi d’ape dentro i tronchi degli alberi e tra le rocce. Fonte insospettabile di questa modalità di procacciamento è la Bibbia: nel I libro di Samuele si legge infatti che Gionata, figlio del re Saul, «allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono» (I Sam. 14,27). Una prima testimonianza artistica di questa ricerca del miele ci viene offerta da un dipinto, databile intorno al 7000 a.C., eseguito sulla parete di una grotta sita a Cueva de la Aragna (Spagna orientale): in tale pittura rupestre si nota una figura umana, arrampicatasi fino al nido d’api tramite delle liane, nell’atto di prendere con una mano dei favi di miele mentre nell’altra tiene un contenitore da trasporto.

LA NASCITA DELL’APICOLTURA E LA LUNA DI MIELE

Il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà ebbe come conseguenza l’abbandono di questi sistemi primitivi di procacciamento e la nascita dell’apicoltura. Pare che i primi a sviluppare questa pratica furono – intorno al 3000 a.C. – gli Egizi, i quali usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe o vasi ricolmi di miele per il loro viaggio nell’Aldilà (alcuni di questi recipienti sono stati recentemente rinvenuti durante gli scavi ancora perfettamente conservati).

Dalla decifrazione dei geroglifici risulta che le ricette a base di miele erano impiegate non solo ad uso alimentare ma anche medico, per la cura di disturbi digestivi e per la produzione di unguenti per piaghe e ferite.

L’espressione “luna di miele” nacque in questi anni remoti, probabilmente da usanze babilonesi. Il popolo mesopotamico definiva in questo modo il mese successivo al matrimonio di una coppia: in tale periodo il padre della sposa aveva l’obbligo di rifornire il genero del liquido dorato affinché egli si ristorasse e fosse aiutato nelle “fatiche amorose”. D’altronde anche la medicina ayurvedica, già nel 2700 a.C. circa, considerava il miele non solo dolcificante ma anche purificante, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico, cicatrizzante e, appunto, afrodisiaco.

IL CIBO DEGLI DEI

Nella Grecia antica il culto per l’ambrosia, il “cibo degli dei”, portò a un forte interesse verso il comportamento delle api, il cui allevamento veniva di solito affidato a uno schiavo esperto in materia chiamato melitouros. Scrissero di miele e apicoltura scrittori come Omero (che narra la raccolta del miele selvatico), Pitagora (che considerava il miele un elisir di lunga vita) e Aristotele (che descrive minuziosamente il comportamento delle api).

Le conoscenze elleniche in materia furono ereditate dai Romani. Anche presso la civiltà latina possiamo riscontrare un forte interesse verso il miele, visto che i più grandi autori del periodo hanno trattato l’argomento (tra questi Virgilio nel IV libro delle Georgiche e Plinio il Vecchio nella sua Storia naturale). Anche nella romanità il lavoro apistico era affidato a schiavi “eruditi”, gli apiarii, che con la loro competenza garantivano un reddito elevato ai loro padroni.

I Romani importavano grandi quantitativi di miele da Creta, Cipro, Spagna e soprattutto Malta; da quest’ultima pare anche derivare il nome originale Meilat, appunto «terra del miele».